Sandro Tovalieri, 'Il Cobra' del goal: da promessa alla Roma a bomber giramondo in provincia
I suoi goal erano come i morsi di un serpente velenoso: improvvisi e letali per chi li subiva. A volte, in campo, si estraniava dal gioco, eppure era sempre in agguato e imprevedibile: gli avversari spesso restavano sorpresi da un suo guizzo, di cui si accorgevano soltanto vedendo ormai la palla in fondo alla propria rete.
Per questo motivo, fin da giovane, Sandro Tovalieri sarà per tutti 'Il Cobra'. Di goal, dopo averne realizzati tanti in gioventù, nella sua carriera da calciatore professionista, ne farà ben 148 in 448 partite disputate.
Ma se in campo sapeva essere spietato, quando c'era da aiutare chi aveva bisogno, l'attaccante era sempre in prima linea: ha sempre avuto un cuore d'oro e questo lo portava a grandi gesti di generosità e ad entrare in empatia con i suoi tifosi.
Nella gioia, come al Bari, quando inventerà l'esultanza del 'Trenino' per festeggiare i goal, e nel dolore, come al Cagliari, quando, dopo lo spareggio di Napoli appena perso con il Piacenza, sarà il primo giocatore, in lacrime, ad andare sotto la Curva A del San Paolo per consolare i supporter rossoblù arrivati in nave, fra mille peripezie, dalla Sardegna.
LE GIOVANILI E LA GAVETTA IN B
Nato a Pomezia il 25 febbraio 1965, Sandro vive e cresce ad Ardea, Comune della Città metropolitana di Roma, assieme alla sua famiglia. La sua storia ha molti elementi in comune con quella di tanti ragazzi nati negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
"Come tutti i bambini - racconterà 'Il Cobra' a 'Il Corriere della Città' - ho iniziato dando calci a un pallone in mezzo a una strada e sognando di diventare calciatore. Poi andai per un anno al Pomezia Calcio e, durante torneo contro la Roma, vincemmo 3-1. Io feci 3 goal: i dirigenti contattarono mio padre e mi presero senza neanche fare il provino".
"Avevo 11 anni, ed andare a giocare con la squadra del mio cuore per me è stato come coronare un sogno - aggiungerà -. Sono nato e morirò romanista. Mio padre, che tifava Juve, quando avevo 4 anni ha cercato di farmi diventare juventino, facendomi indossare una maglia bianconera, e mi portò a Ostia, dove la squadra si allenava in ritiro in vista della partita dell’indomani all’Olimpico. Ero piccolo, non capivo niente, ma a parte le foto che testimoniano questo episodio, io sono sempre stato romanista".
"Ovviamente - precisa - ho tanti amici di altre squadre, soprattutto laziali, con cui ci scambiamo gli sfottò, ma non sono mai stato laziale. Anzi, durante la mia carriera una volta mi contattarono i dirigenti della Lazio per propormi un contratto, ma rifiutai per non tradire la mia fede calcistica".
Quando è preso dalla Roma le cose iniziano a farsi serie e il giovane Tovalieri è chiamato a fare tanti sacrifici.
"Era una vita dura - ricorda 'Il Cobra' -. Io partivo la mattina presto da casa per andare a scuola alle 7.15 a Pomezia e mi portavo sia lo zaino con i libri, sia la borsa per l’allenamento. Uscito da scuola, infatti, andavo direttamente al campo. Mangiavo un pezzo di pizza per strada e prendevo il pullman per l’EUR. Poi da lì dovevo raggiungere il Tre Fontane o il San Tarcisio, in viale Marconi".
"Era un tragitto notevole per un ragazzino come me, ma la passione era tanta. Una volta ho scoperto che i miei genitori, di nascosto, mi seguivano con la loro macchina per vedere se tutto era a posto durante il mio percorso a piedi. Alle 18.30 riprendevo il pullman e alle 19.15 ero di nuovo ad Ardea. Cenavo e crollavo nel letto a dormire. Il sacrificio però non mi pesava".
In campo il ragazzo di Ardea dimostra di saperci fare: tanti goal segnati, con quel fiuto unico che hanno soltanto i bomber di razza. In giallorosso arrivano le prime vittorie e si capisce che Sandro diventerà un giocatore professionista.
"Ho fatto tutta la trafila nel Settore giovanile - racconta l'attaccante - e ho cominciato a pensare di fare il calciatore per mestiere quando sono entrato negli Allievi. Mi ha aiutato il mio carattere forte. Ho vinto uno Scudetto Allievi e un Torneo di Viareggio con la Primavera, giocando con ragazzi più grandi di me di due anni".
Giannini, DiMauro, Desideri e Tovalieri se riconoscono, l’altri? pic.twitter.com/y4SNINxPXa
— Luca100celleASR (@Luca100celleASR) May 13, 2020
La Roma che sotto la guida di Romeo Benetti nel 1983 si aggiudica l'importante competizione giovanile superando 2-0 in finale l'Inter vanta tra le sue fila diversi giovani di belle speranze che si affermeranno poi con 'i grandi': oltre a Tovalieri, ci sono Paolino Baldieri, Ubaldo Righetti, Stefano Desideri, Fabrizio Di Mauro, Angelo Di Livio e, soprattutto, colui che diventerà 'Il Principe', Giuseppe Giannini. Se quest'ultimo era la mente e l'ispiratore della manovra, 'Il Cobra' e Baldieri erano i finalizzatori.
Ancora sedicenne, il 2 gennaio 1983 Nils Liedholm lo porta in panchina nella sfida di campionato all'Olimpico contro il Genoa, vinta 2-0 dalla Lupa. È quella la Roma che conquisterà il secondo Scudetto della sua storia. 'Il Cobra' non debutta, e l'anno seguente, nella stagione 1983/84, è mandato in prestito al Pescara, in Serie B, "per farsi le ossa".
Un metro e 75 centimetri per 70 chilogrammi di peso forma, Tovalieri, ancora giovanissimo, dimostra di sapersi muovere in area di rigore con l'abilità di un veterano. È bravissimo nella protezione della palla, favorito dal baricentro basso, e quando libera il tiro o con tempismo perfetto va a colpire di testa raramente dà scampo al portiere avversario.
Al Pescara parte come riserva di Stefano Rebonato, ma presto 'scalza' il suo compagno di squadra, più grande di lui di quasi 3 anni, ma presto diventa un titolare inamovibile, formando con Vittorio Cozzella un tandem di tutto rispetto per il torneo cadetto. Sotto la guida di Tom Rosati segna subito 10 goal in 35 presenze di campionato, giocando anche 5 partite in Coppa Italia. Gli abruzzesi concludono la stagione al 12° posto.
La Roma lo manda sempre in prestito all'Arezzo nel 1984/85, chiedendogli un altro campionato di maturazione in Serie B prima di riportarlo alla casa madre. Tovalieri anche stavolta non delude le attese: realizza 10 goal in 34 partite e, di fatto, è lui a trascinare i toscani, che cambiano tre volte allenatore, verso il 14° posto e la salvezza. Segna inoltre 2 reti in 5 gare in Coppa Italia.
L'exploit gli vale anche l'esordio con l'Italia Under 21, che arriva il 5 dicembre 1984 a Malta (1-2 il risultato per gli Azzurrini). È l'attaccante di scorta nella squadra guidata dal Ct. Azeglio Vicini, alle spalle dei 'Gemelli del goal', Vialli e Mancini. Ma la sua avventura in azzurro si chiuderà con 2 presenze nella Nazionale giovanile.
"Ho segnato 10 goal a campionato - sottolinea 'Il Cobra' -. Poi sono tornato alla Roma e da lì il percorso è stato in crescendo, mi sono tolto tante belle soddisfazioni".
IL RITORNO ALLA ROMA, FRA GIOIE E OCCASIONI PERSE
La Roma lo riprende con sé nella stagione 1985/86, ma quest'ultima sarà in chiaroscuro. Tovalieri, pur destando buone impressioni, 'sente' il salto di categoria e il suo apporto realizzativo alla squadra di Sven-Goran Eriksson si limiterà a 3 goal in 22 presenze in Serie A. Debutta nel massimo campionato contro l'Atalanta l'8 settembre 1985, giocando da titolare in coppia con Pruzzo. I giallorossi si impongono 1-2 in trasferta.
Ma il giorno più bello e indimenticabile è per lui il 29 settembre, quando, servito da Boniek, con uno dei suoi tiri velenosi e angolatissimi, 'Il Cobra' infila Garella e porta in vantaggio i giallorossi contro il Napoli di Maradona. La partita terminerà poi 1-1 con rete del pari di Diego su calcio di rigore.
"Il mio primo goal in serie A l’ho fatto a Napoli, al San Paolo - racconterà -. Avevo 20 anni e sul tabellone a fine partita c’erano il mio nome e quello di Maradona. È stata un’emozione indescrivibile, che rivivo ogni volta che ci penso. Devo dire grazie a mister Eriksson per avermi fatto esordire in Serie A".
E a quel goal al San Paolo è legato anche un curioso aneddoto, significativo del buon cuore del centravanti.
"Maradona mi regalò la maglia - rivelerà -, ma quel cimelio non entrò nemmeno in casa: avevo saputo che vicino a casa mia c’era un bambino tifoso degli azzurri che non stava bene e gliela portai subito in regalo".
Le altre due reti le segna la domenica successiva all'Olimpico contro il Torino (2-0 per i capitolini) e il 15 dicembre nell'ampio successo per 3-0 fuoricasa contro il Lecce. Poi, però, almeno in campionato, 'Il Cobra' smarrisce la via del goal e finisce spesso in panchina. I giallorossi accarezzano il sogno dello Scudetto, ma alla fine il rovescio interno alla penultima giornata contro i salentini, ormai già retrocessi, consegna il Tricolore alla Juventus.
"Perdemmo lo Scudetto per un soffio - ricorderà Sandro -, e fu sicuramente un grande dispiacere".
'Il Cobra' si consola con un ruolo da grande protagonista nella Coppa Italia vinta dalla Roma. Realizza infatti ben 8 goal, piazzandosi 2° nella classifica marcatori della competizione alle spalle del bomber empolese Luca Cecconi. Fra le prodezze di Tovalieri meritano una menzione la tripletta all'Ascoli nel girone della Prima fase, il 28 agosto 1985, e i goal decisivi in casa con l'Inter nei quarti (2-0 per la Lupa) e con la Fiorentina in semifinale (nuovo 2-0 per i giallorossi).
"Quella contro l'Ascoli fu una serata incredibile - dirà -, feci tre goal e il giorno seguente mi trovai su tutti i giornali. Ti cambia la vita e se non hai la testa sulle spalle rischi di fare cazzate. Non che io non ne abbia fatte".
Con la celebrità arrivano anche le donne.
"Non ero più nemmeno io a dover avvicinare una ragazza o a chiedere un appuntamento - scriverà nella sua autobiografia -, fuori Trigoria c’era la fila di ragazze che ti davano il loro numero di telefono".
In Coppa Italia 'Il Cobra' incide anche in finale, realizzando il goal della bandiera nella gara di andata al Ferraris (vittoria 2-1 per i blucerchiati), che, unito al 2-0 per la Lupa nel match di ritorno all'Olimpico (con un suo assist), le consegnerà il trofeo. Ma l'exploit di Coppa non sarà sufficiente per guadagnarsi la conferma: lui chiede spazio, la società considererà l'attaccante ancora acerbo a certi livelli e lo venderà nell'estate del 1986 all'Avellino. 'Il Cobra' saluterà per sempre il club giallorosso, non senza rimpianti.
"Potevo rimanere un po’ di più nella mia squadra del cuore - ammetterà a 'Il Corriere della Città' -, ma a 20 anni, quando hai tanti campioni davanti, il pensiero di dover fare 6 o 7 anni di panchina ti spaventa, anche perché gli anni di carriera per un calciatore sono pochi, quindi pensavo di andare da qualche altra parte e poi tornare".
Restano i ricordi, indelebili, e l'aver giocato accanto a grandi campioni.
"Ho legato con moltissimi colleghi, con qualcuno di più, altri di meno - dirà -. Con Bruno Conti si può dire che siamo quasi paesani, visto che lui è di Nettuno. Ma non posso dimenticare Carlo Ancelotti, Sebino Nela, Roberto Pruzzo, Ciccio Graziani, Dodo Chierico, Toninho Cerezo e tanti altri: li dovrei menzionare tutti, anche perché io all’epoca avevo 20 anni e non era facile entrare tra tutti questi campioni già affermati. C’era un’ansia terribile prima di giocare, ma capivi che dovevi tirare fuori il carattere".
BOMBER ERRANTE IN PROVINCIA
L'Avellino consente comunque al bomber di Pomezia di cimentarsi nuovamente con la Serie A. Sembra l'occasione giusta, una prova di appello. Ma il giovane attaccante ripete su per giù nel 1986/87 quanto fatto l'anno prima con la Roma: se gli irpini sono una bella rivelazione del torneo e si piazzeranno all'8° posto, lui realizza solo 3 goal in 20 presenze.
Le sue prodezze non sono però mai banali: nel girone di andata 'timbra' il cartellino nel 3-1 al Partenio sulla Sampdoria, poi nel finale di stagione segna la rete della vittoria sul Milan, dopo esser fuggito in velocità niente meno che a Franco Baresi, e il 17 maggio 1987, nell'ultima giornata, firma il perfetto 'goal dell'ex'.
Subentrato nella ripresa al posto di Schachner, realizza di testa, sugli sviluppi di un calcio d'angolo, dopo neppure 60 secondi dal suo ingresso sul terreno di gioco. È il pareggio provvisorio dopo il vantaggio giallorosso con Bruno Conti, che diventerà vittoria con il goal nel finale di Murelli.
Ai 3 goal in campionato 'Il Cobra' ne aggiunge altri 3 in Coppa Italia in 4 partite. Ma, anche in questo caso, il suo rendimento non gli varrà la conferma. Tovalieri diventa così, da quel momento in avanti, il prototipo del bomber di provincia con la valigia in mano.
La tappa successiva della carriera lo vede ripartire dalla Serie B con la maglia dell'Arezzo. Sandro conosce l'ambiente e pensa di rilanciarsi, ma incappa in un'annata no, nella quale va a segno solo 4 volte in 17 presenze. I toscani per giunta retrocedono in Serie C1, e, se possibile, il 1988/89 è per lui ancora più disgraziato: 'Il Cobra' si rompe infatti il crociato del ginocchio e deve stare a lungo lontano dai campi.
I sogni di quel "centravanti di strada", come Sandro definirà se stesso nella sua autobiografia, sembrano all'improvviso svanire. Ma il carattere forte lo aiuta a rialzarsi: dopo appena 1 rete in 9 presenze, il 1989/90, che disputa ancora in Serie C1 con i toscani, segna la rinascita. Il bomber di Pomezia va a segno 15 volte in 32 presenze, e anche se i suoi goal non bastano a riportare l'Arezzo in Serie B, si guadagna la chiamata in Serie B con l'Ancona.
Chiusa la parentesi di tre anni con gli amaranto con un bilancio personale di 19 goal in 58 presenze, il biennio con i marchigiani lo consacra come bomber. Con i biancorossi 'Il Cobra' raccoglie l'eredità di Massimo Ciocci e bagna subito con il goal il suo debutto in campionato il 9 settembre del 1990, propiziando la vittoria di misura sul Barletta (1-0).
In Serie B nel 1990/91 totalizza 13 goal in 35 partite, quindi, l'anno seguente, pur calando nelle statistiche personali con 9 reti in 36 gare, assieme al suo partner d'attacco Mauro Bertarelli dà un apporto determinante per la prima storica promozione in Serie A della squadra. Aggiunge anche 2 centri in 4 match in Coppa Italia.
Ma, come detto, la costante della sua carriera saranno i continui cambi di maglia. Salutato l'Ancona con 24 goal totali in 75 presenze, viene ingaggiato dal Bari, appena retrocesso in Serie B, nel mercato di settembre, quando i marchigiani decidono di puntare per la Serie A su Massimo Agostini, Nicola Caccia e Sergio Zarate.
'I Galletti' allestiscono una squadra che punta all'immediato ritorno nel massimo campionato: oltre a Tovalieri, tengono il brasiliano João Paulo e acquistano il bomber del Messina Igor Protti. Proprio con l'attaccante riminese 'Il Cobra' sviluppa un feeling eccezionale, che farà le fortune della squadra biancorossa. In due anni, dal 1992 al 1994, Sandro realizza 23 goal in 51 gare, più 2 apparizioni in Coppa Italia.
Nel 1993/94, in particolare, l'anno della promozione, il suo apporto è di 14 centri in Serie B. Il Bari conferma Protti e Tovalieri anche nel 1994/95 e ne nasce quella che per 'Il Cobra' sarà la miglior stagione della sua carriera: 17 goal in Serie A in 31 partite (più 2 gare in Coppa Italia).
Segna con una regolarità impressionante, mettendo a referto anche tre doppiette contro Genoa (vittoria per 4-1), Milan (sconfitta 3-5) e Lazio, cui da ex giallorosso infligge un duro colpo (vittoria del Bari a Roma per 2-1). Un exploit da bomber vero, degno di essere celebrato con un'esultanza speciale, quella del 'Trenino'.
Dopo esser stato fatto la prima volta il 25 settembre 1994, in occasione di Padova-Bari 0-2, il 'Trenino' del Bari diventa popolare in tutto il mondo il 16 ottobre dello stesso anno, quando Guerrero e Tovalieri stendono l'Inter a San Siro (2-1) e i giocatori lo eseguono dopo il goal del raddoppio del 'Cobra'.
"Era una tradizione colombiana - spiegherà il suo inventore -, avevamo dovuto imparare i movimenti, tutti coordinati, l’effetto era bellissimo, al punto che Raimondo Vianello invitò me e Protti in tv a Pressing".
Dopo 40 goal in 86 partite con 'I Galletti', e la salvezza conquistata nell'ultimo anno in Serie A (12° posto), però, 'Il Cobra' cambia ancora casacca e sposa il progetto Atalanta, accasandosi nel 1995/96 con la squadra di Emiliano Mondonico. Gli orobici centrano una salvezza senza troppi patemi (13ª posizione finale) e mettono in mostra diversi giovani di belle speranze, fra cui Morfeo e Christian Vieri. Sandro colleziona 30 presenze su 34, reggendo bene la concorrenza agguerrita, ma realizza solo 6 goal, terzo marcatore dei nerazzurri alle spalle proprio di Morfeo (11) e Vieri (8).
In Coppa Italia la Dea arriva in finale, persa poi con la Fiorentina, e 'Il Cobra' contribuisce realizzando una doppietta nell'andata dei quarti contro il Cagliari. Nuovo giro, nuova corsa. Nel 1996/97 firma con la Reggiana, neopromossa nel massimo campionato. Le difficoltà non mancano e nella prima della stagione il bomber di Pomezia si limita a 4 goal in 11 presenze.
A gennaio, però, ecco la svolta: lo acquista il presidente del Cagliari Massimo Cellino, perché Carlo Mazzone lo vuole per far risalire la squadra. 'Il Cobra', in coppia con un altro giocatore romano, ma di Morena, Roberto Muzzi, trova subito il giusto feeling con l'ambiente e con la Sardegna, e torna a 'mordere' con una regolarità impressionante le difese avversarie.
In pochi mesi segna 11 goal in 22 presenze, che uniti a quelli del suo partner d'attacco (10) fanno risalire il Cagliari dopo il disastroso girone di andata e gli consentono di giocarsi la permanenza in Serie A allo spareggio. Quest'ultimo si gioca a Napoli in un clima ostile per i tifosi sardi il 15 giugno 1997.
Luiso e una sfortunata autore di Berretta portano il risultato sul 2-0 in favore degli emiliani, ma ecco che 'Il Cobra' con un guizzo dei suoi realizza la rete della speranza per i rossoblù. Sarà solo un'illusione, perché al 90' ancora Luisa siglerà il definitivo 3-1, condannando i sardi alla Serie B, fra le lacrime di chi aveva affrontato il viaggio in nave e degli stessi giocatori.
Tovalieri dimostra grande empatia con i supporters rossoblù, e mentre altri compagni non hanno il coraggio né la forza di alzarsi da terra, in preda allo sconforto e all'amarezza, lui fra le lacrime è il primo che va a salutarli e a provare a consolarli sotto la Curva A dello Stadio San Paolo.
"Ho fatto il massimo, ma il massimo non è bastato", sembra dire loro, ripreso anche dalle telecamere.
Si guadagna, con quel gesto, la stima eterna di quella tifoseria. E ricorderà per sempre gli insegnamenti di Mazzone:
"L’unico dispiacere è quello di averlo avuto come allenatore solo a fine carriera - affermerà -. Lui era un sanguigno, un romanaccio tosto, grazie a lui ho segnato 12 gol in 5 mesi: chissà, se lo avessi avuto prima, magari avrei potuto raggiungere livelli più alti, anche se il carattere non mi è mai mancato, perché ogni allenatore ti tira fuori qualcosa di diverso e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa di diverso, così come i calciatori a cui mi sono ispirato".
"Lo vedevo come un padre ed era l’unico con cui non mi arrabbiavo se mi lasciava in panchina. Successe anche a Parma. Dopo 20 minuti perdevamo 3-0. Alla fine del 1° tempo mi disse di riscaldarmi, ma io mi arrabbiai: anche lui si alterò, ma alla fine ovviamente iniziai il riscaldamento, entrai in campo, feci due goal e sfiorai la terza rete. Perdemmo 3-2 e Mazzone andò sotto la curva dei nostri tifosi e, a gran voce, disse: 'Non ci capisco un c***o, come allenatore, se l’ho lasciato in panchina!', poi tornato negli spogliatoi, lo ha ripetuto anche a me e ci siamo messi a ridere: da quel giorno non mi ha più tenuto fuori, neanche quando gli chiedevo io la sostituzione".
L'anno seguente vorrebbe restare, nonostante il cambio di allenatore, ma dovrà cambiare ancora maglia, salutando i colori rossoblù dopo un'esperienza breve ma intensa con 12 goal in 23 gare totali.
"La mia intenzione era rimanere al Cagliari - racconterà a 'Tuttocagliari' -. Malgrado la retrocessione, mi legava un rapporto affettivo con la città. Volevo subito riconquistare la promozione in serie A. Poi arrivò l'offerta della Sampdoria, e la società decise di liberarmi".
A Genova comincia bene, con 7 goal in 14 presenze fra campionato, Coppa Italia e Coppa UEFA, ma a novembre è girato all'ambizioso Perugia, guidato da Perotti, Bigon e infine Ilario Castagner. Torna così in B, collezionando 11 reti in 26 partite, fra cui anche il provvisorio 1-0 nello spareggio promozione contro il Torino che vale la promozione in Serie A degli umbri.
Grazie, Cobra 🐍#Tovalieri #forzaCasteddu pic.twitter.com/tQtn64c0cC
— Cagliari Calcio (@CagliariCalcio) December 3, 2019
LE ULTIME STAGIONI E IL RITIRO
Comincia con il Perugia anche l'anno 1998/99, ma trova poco spazio. A 33 anni 'Il Cobra', dopo appena 4 presenze, che saranno anche le ultime in massima serie, è mandato nuovamente in Serie B alla Ternana.
Chiusa l'avventura col Grifone con un bilancio di 32 presenze e 11 goal, spende le ultime frecce di una carriera leggendaria con la maglia rossoverde, con cui totalizza 20 presenze e un goal. 'L'ultimo morso' arriva contro il Napoli, allo Stadio San Paolo, il 1° novembre 1998. Le Fere si impongono 2-1 grazie all'esperto goleador e là dove il sogno del bomber di Pomezia era cominciato, si chiude il cerchio.
Le ultime partite da professionista le gioca l'anno seguente, il 1999/00, tornando per un breve periodo alla Reggiana (9 presenze fra C1 e Coppa Italia di categoria), prima di appendere le scarpette al chiodo all'età di 35 anni. In carriera ha mancato l'affermazione con una grande squadra, ma i sui 'morsi' restano indelebili per i tifosi che hanno assistito alle sue prodezze e ancora oggi lo amano per la sua umanità.
"Era intelligente in area di rigore, furbo nel girarsi al volo e trovare lo specchio della porta, bravo nel calciare, esuberante, anche incazzoso se i compagni non gli passano la palla - scriverà di lui Bruno Conti nella prefazione dell'autobiografia - . Era lì sempre in agguato. Doti che hanno solo i bomber di razza. E il Cobra, lo era".
L'ESPERIENZA DA ALLENATORE
Chiusa la carriera da calciatore, che gli ha regalato comunque tante soddisfazioni, 'Il Cobra' diventa allenatore e si dedica principalmente al lavoro con i giovani calciatori.
"Devi fartene una ragione che quella parentesi è finita e andare avanti", dice.
Per un po' di anni allena Giovanissimi, Esordienti e Allievi, lavorando nel Settore giovanile della Roma. Poi è nominato presidente onorario di una squadra femminile, la Res Roma, e fa il team manager nella United Sly di Bari, squadra di Seconda Categoria.
Nel 2018 diventa l'allenatore del Soccer Modugno, squadra pugliese di Prima Categoria. Chiusa quest'esperienza, è tornato vicino a casa sua e lavora come Responsabile del Settore giovanile dell'Asd Falaschelavinio ad Anzio.
IL DRAMMA FAMIGLIARE
Negli anni Duemila, Sandro ha dovuto affrontare anche il dramma della malattia, che ha colpito sua moglie Laura.
"Era il 31 luglio 2007 - racconta nel suo libro -, una calda mattina d’estate, quando la donna che avevo scelto come compagna, amante, sposa, confidente, mamma dei miei figli, mi lasciò solo. Mi sentivo perduto e confuso. Aveva 41 anni e tutta una vita davanti. Tre anni di lotte, che all’inizio sembrava facile vincere, per poi piano piano, giorno dopo giorno, accorgersi che alcune battaglie potevamo vincerle, ma la guerra ci avrebbe purtroppo sconfitto".
Sandro trova la forza di ripartire nei suoi figli Ilaria e Simone.
"La mia vita si divide in due parti - dice -. C’è il prima e il dopo la morte di mia moglie Laura, una morte che ancora oggi non sono riuscito a superare. Chi mi dà la forza di andare avanti sono i miei due figli Ilaria e Simone, tutto quello che faccio è per loro".
L'AUTOBIOGRAFIA E LA POLITICA
Fra le avventure post ritiro del 'Cobra' c'è stata anche la politica, con la candidatura come consigliere comunale ad Arezzo.
"Mi sono messo in gioco - dichiara a 'La Gazzetta dello Sport' - per fare un favore ad un amico, è stata un'esperienza bella e fantastica. Peccato soltanto che per poco la nostra lista non ha vinto".
La sua carriera e le vicende della sua vita Tovalieri le ha raccontate tutte nella sua autobiografia, scritta a due mani assieme alla giornalista Susanna Marcellini. Il titolo emblematico è 'Cobra. Vita di un centravanti di strada', pubblicata nel 2015.
"Le parole danno realtà ai tempi, ai luoghi, ai sentimenti - dice -. E oggi mi piace ricordarli. La vita è così, va come va. L’importante è non dimenticare. Io non dimentico i goal, me li ricordo tutti cosi come non dimentico la mia vita privata, ogni momento che ho vissuto mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Un po’ Cobra un po’ Sandro”.
Fra i rimpianti, quello di non aver mai giocato con la Nazionale maggiore è fra i principali.
"Quando giocavo nel Bari ho segnato 17 goal, ma davanti a me avevo campionissimi. Oggi con 17 goal il posto in nazionale sarebbe assicurato. Ma va anche bene così: l’affetto che ancora mi lega ai tifosi ne è la prova".
Ed è grande la nostalgia per il calcio dei suoi tempi:
"Prima ti dovevi ‘sudare la pagnotta’ - afferma -. Adesso in tv si va con una facilità incredibile e si parla di contratti stratosferici: fai due goal e vali 50 milioni di euro, diventi una star e vieni valutato una valanga di soldi. Oggi il calciatore entra in campo tutto perfetto e ingelatinato ed esce perfetto e ingelatinato. Io mi ricordo che a volte non mi facevo la barba per intimorire l’avversario, sportivamente parlando...".