Rambaudi, la freccia del trio delle meraviglie di Zemanlandia
“Il tridente siamo noi, in assoluto. Ci integravamo bene, quando uno faceva un movimento già sapeva come ricevere palla e come darla”.
Musica e parole di chi sa di aver fatto parte di un qualcosa che ha sfiorato la perfezione. Musica e parole di Roberto Rambaudi, ovvero uno degli uomini simbolo di una delle squadre più spettacolari tra quelle che si sono viste nella storia della Serie A.
‘Chi non c'era non può capire’ è una delle frasi più abusate in assoluto, ma è vero che chi non ha visto da vicino il Foggia di Zeman, difficilmente può farsi un’idea di cosa sia stato. I freddi numeri raccontano di una squadra che faceva e che prendeva tanti goal e che nella sua prima annata nella massima serie ha chiuso con un nono posto in classifica. In realtà, per capire bene quello che poi è passato alla storia come il ‘Foggia dei Miracoli’, più che leggere bisogna vedere. Bisogna andare a ritrovare vecchi video, godersi i piccoli frammenti arrivati ai giorni nostri, constatare cosa e come veniva fatto e spostare tutto nel giusto contesto.
Il Foggia che nel 1991 si riaffaccia in Serie A dopo tredici anni di attesa è una compagine composta da calciatori sconosciuti, che mai hanno giocato ad alti livelli e che sono accomunati soprattutto da una cosa: l’essere gli ingranaggi perfetti per quella che è un’idea rivoluzionaria.
La volontà di Zeman è quella di proporre una formazione che se la giochi a viso aperto con tutti e che sfoggi questa sua spavalderia anche contro gli avversari di maggior rango. La sua è un’idea che nasce non dalla semplice voglia di stupire, ma da una convinzione.
“Ai giocatori non piace difendere, loro sono felici quando attaccano”.
Il tutto quindi nasce dal concetto di felicità, ma per portare questa felicità in campo bisogna paradossalmente passare dalla sofferenza. In molti casi, quella più estrema.
Sì, perché se non ci sono i soldi per comprare i migliori giocatori, vuol dire che non c’è nemmeno la qualità per competere contro le più forti. E se la qualità non c’è, va compensata con la corsa.
I giocatori del Foggia, pur di guardare tutti gli avversari negli occhi, e tra l’altro in un periodo nel quale la Serie A era ricca come non mai di campioni, si sottopongono a sedute di allenamento massacranti. Tanto fondo, tanti gradoni (una volta a settimana e con i pesi sulle spalle), ripetute ed esercizi estenuanti. Tutte cose che probabilmente i colleghi più famosi e quotati difficilmente avrebbero digerito, ma che erano necessarie per colmare quel gap naturale.
Il tutto si traduceva sul campo in una velocità doppia rispetto a quella degli avversari, e il tutto spalmato per i 90’ di gioco. Per questo quel Foggia va visto più che raccontato: a volte le parole non riescono ad arrivare dove la vista invece può.
Roberto Rambaudi ha avuto modo di conoscere come pochi i metodi di Zeman. E’ cresciuto nelle giovanili del Torino, ma prima che il tecnico boemo intravedesse in lui l’uomo giusto per completare il reparto avanzato che aveva in mente, la sua era stata una carriera che si era sviluppata esclusivamente tra C2 e C1. Era giovane e tutti gli riconoscevano qualità importanti unite anche ad una discreta confidenza con la rete, ma probabilmente non sarebbe diventato ciò che è diventato se nell’estate del 1989 non gli fosse arrivata una chiamata dalla Daunia.
Il Foggia è appena stato promosso in Serie B ed il presidente Pasquale Casillo ha un’intuizione che si rivelerà quanto mai azzeccata: richiamare in panchina Zdenek Zeman, ovvero il tecnico sul quale anni prima aveva già puntato, ma che poi aveva allontanato quando si era convinto che lo stesso stesse trattando alle sue spalle con il Parma.
Il boemo è un fautore del gioco a zona ed è convinto che il 4-3-3 sia il modulo che copre meglio il campo. I due elementi ideali per supportare la punta centrale vengono appunto individuati in Rambaudi (che è reduce da una buona annata in C1 con il Perugia) e Signori (veloce esterno del Piacenza che ha però un difetto: vede poco la porta…).
L’esperimento fatica a decollare e per un girone intero la paura di non retrocedere è accompagnata delle contestazioni, ma quando da metà stagione in poi la squadra inizierà ad ingranare, allo Zaccheria si inizierà a sognare.
La prima annata di Serie B è stata quindi di preparazione, mentre la seconda deve essere quella dei risultati. Al centro del tridente pensato da Zeman viene inserito l’ultimo tassello mancante, ovvero Francesco Baiano, e da lì in poi sarà spettacolo.
I Satanelli vinceranno il campionato e, dall’alto dei 67 goal segnati, si riveleranno anche la squadra più prolifica del torneo. Di queste 67 reti 22 le realizza Baiano (il capocannoniere del campionato insieme a Balbo e Casagrande), 15 Rambaudi e 11 Signori.
I tre si trovano a meraviglia e quando sono in giornata semplicemente non sono arginabili. Dialogano tra di loro come se giocassero insieme da sempre, aggrediscono gli spazi e verticalizzano come mai era stato fatto prima in Italia.
Sono tre giocatori che non fanno della prestanza la loro arma migliore, ma per Zeman la cosa non rappresenta un problema. Anzi.
“Compensavano con la tecnica e poi si divertivano a giocare insieme”.
Dei tre Rambaudi è il giocatore più tattico, il che fondamentalmente si traduce nel fatto che più spesso torna a prendere il pallone. Così come imposto dal credo zemaniano, difficilmente arretra nella propria metà campo, ma la fascia destra la copre meravigliosamente, sempre coadiuvato da Shalimov e Petrescu, ovvero i due uomini che agiscono alle sue spalle.
“Era quella una squadra nella quale c’erano elementi che solo con Zeman potevano arrivare in Serie A. Facevamo un gioco straordinario e la cosa permetteva anche a ragazzi che probabilmente nemmeno in Serie C avrebbero giocato di emergere”.
Rambaudi è tra coloro che le qualità per stare in Serie A le ha eccome, e soprattutto interpreta il ruolo alla perfezione. In un calcio italiano nel quale si parlava (e si parla ancora oggi) soprattutto di coperture preventive, lui era sinonimo di attacco preventivo. Era come se avesse una fionda alle sue spalle, sempre pronto a lanciarsi con quella frazione di secondo che, unita ad una straordinaria facilità di corsa, gli dava poi un vantaggio decisivo sugli avversari.
Il Foggia di Zeman era una squadra che si difendeva altissima anche con il suo portiere Franco Mancini, il primo vero ‘portiere libero’ italiano, il che voleva dire potenzialmente due cose: scoprirsi e prendere diversi goal, ma anche recuperare palla e ripartire quando gli avversari erano ancora in proiezione offensiva.
Pierluigi Collina, il miglior arbitro di tutti i tempi, in un'intervista rilasciata al ‘Corriere della Sera’, ha ammesso come dirigere una partita di quel Foggia sia stato tra le cose più complicate che gli siano capitate in carriera.
“Arbitrare il Foggia di Zeman era difficile, con il portiere Mancini che calciava lungo per Signori, Rambaudi e Baiano: i tre partivano come missili e seguire lo sviluppo dell’azione era complicato”.
Rambaudi di quel tridente era formalmente la freccia che partiva a destra, ma nella realtà dei fatti l’azione offensiva si sviluppava con una tale armonia ed una tale velocità, che in fase di finalizzazione il discorso delle posizioni diventava del tutto aleatorio. Non era quindi strano vedere Signori a destra, con Baiano in veste di rifinitore e ‘Rambo’ punta centrale. In quel ‘caos calcolato’ tutto aveva incredibilmente senso. Tranne per le difese avversarie.
“Zeman era avanti vent’anni rispetto a tutti gli altri. Nell’ambito di un campionato dal tasso tecnico superiore a quello di oggi, noi giocavamo sempre in maniera propositiva. E’ vero che ci distruggeva in allenamento, ma nessuno spiegava come lui la fase offensiva”.
Quello che ancora oggi è ricordato come uno dei tridenti più belli della storia del calcio italiano, in Serie A lo si vedrà per un solo anno. Le strade di Rambaudi (9 goal in 33 partite), Baiano (16 goal in 33 partite) e Signori (11 goal in 33 partite), si divideranno alla fine di quel torneo.
Quanto proposto in campo li aveva catapultati nel mirino delle più importanti squadre italiane e il Foggia più bello di sempre si riscoprì da un giorno all’altro smantellato. Anche Zeman, colui che quel meraviglioso ‘Luna Park’ l’aveva immaginato e spostato sul campo, accettò la cosa arrendendosi a quella che è da sempre una costante nel mondo del calcio.
“Il problema è che bisogna sempre rendersi conto di dove si è. Per certi giocatori Foggia era diventata troppo piccola. Avevano altre ambizioni, oltre che richieste importanti. Non era giusto per loro rinunciare a tutto per il Foggia”.
Baiano ripartirà dalla Fiorentina, dove diventerà la spalla di Batistuta, Signori invece andrà alla Lazio, dove si imporrà come uno degli attaccanti più prolifici della storia del calcio italiano (lui che prima del Foggia vedeva poco la porta), mentre Rambaudi andrà all’Atalanta, dove troverà Marcello Lippi. Proprio il futuro commissario tecnico campione del mondo, gli chiederà poi di seguirlo in altre avventure, ma ‘Rambo’ non lo farà.
Lascerà infatti l’Atalanta solo nel 1994 per approdare alla Lazio, dove ad attenderlo c’era il suo maestro Zeman.
“Avevo altre proposte, ma ho deciso di seguire lui. A Roma ho vissuto il calcio come solo a Foggia avevo fatto”.
In biancoceleste ritroverà anche Signori, con il quale andrà a comporre i due terzi del tridente del Foggia, si esprimerà così bene da entrare a far parte del giro della Nazionale di Arrigo Sacchi e metterà in bacheca gli unici titoli della sua carriera.
La Lazio rappresentò dal punto di vista dei risultati il suo apice, ma ancora oggi il suo nome è legato soprattutto a quel tridente che nonostante sia stato ammirato in Serie A per un solo anno, si è guadagnato un posto nell’immaginario collettivo come una delle cose più belle che si siano mai viste su un campo di calcio.