Müller, Mondiale da incubo e addio alla Germania: “Ho sempre giocato con amore”

Thomas Müller Germany
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Doveva essere la sua rivincita, così come quella della nazional, ma è stata una delusione totale: “Se è stata l’ultima, sappiate c

La seconda eliminazione consecutiva ai gironi ad un Mondiale rappresenta un durissimo colpo per la Germania. E non stupisce che il clima all’interno della nazionale sia cupo: “C’era un silenzio di tomba” ha detto Hofmann ai reporter presenti ad Al Khor, mentre Kimmich a Sport 1 ha parlato di “rischio di cadere in un buco nero”.

Strascichi inevitabilmente pesanti dopo un torneo chiuso con il maggior numero di expected goals generati, ma con un senso di inconcludenza che già da tempo accompagnava il percorso della squadra di Hansi Flick e che, stranamente (ma anche no), ha trovato la propria incarnazione in colui che per anni è stato il simbolo della concretezza tedesca: Thomas Müller.

L’asso del Bayern Monaco è arrivato al suo quarto Mondiale. Nelle prime due edizioni, 2010 e 2014, ha segnato 5 reti ciascuna, mentre tra Russia e Qatar il suo conto è rimasto fermo sullo zero. Un crollo statistico che va di pari passo con quello che è stato il rendimento della sua squadra, di fatto. Un collegamento automatico, visto che si parla del giocatore simbolo di una generazione e di un decennio, se non di più.

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Il Qatar è stato il suo punto probabilmente più basso, non solo per l’eliminazione prematura che ha rimediato la Mannschaft - a proposito, anche lo storico nomignolo non sarà più ufficialmente abbinato alla nazionale a partire dall’anno nuovo - ma anche per il suo rendimento: forse solo nella prima partita, contro il Giappone, qualcuno si è sentito di dargli un voto sufficiente. Anche perché ha dato almeno l’impressione di essere ancora un leader vocale.

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Contro Spagna e Costa Rica, però, ha offerto due delle sue peggiori prestazioni della carriera. Chiamato a coprire il ruolo di punta centrale, a causa della scarsa fluidità offensiva non ha potuto svariare lungo il fronte aprendo spazi ai compagni, ma si è ritrovato a dover giocare spalle alla porta, come non gli era mai capitato in carriera. Nemmeno nei periodi in cui segnava oltre 20 reti a stagione con Pep Guardiola.

Tempi lontani quelli in cui Müller era un grande realizzatore, uno che vedeva la porta. Quest’anno le sue lacune negli ultimi 16 metri come finalizzatore erano già state lampanti nel Bayern Monaco, ma Nagelsmann ha avuto comunque il tempo di adattare il contesto alle caratteristiche dei suoi avanti. E così per un periodo anche sfruttare il classe 1989 come attaccante centrale ha avuto più senso.

Flick, invece, quel tempo non lo ha mai avuto. Non aveva mai programmato con il Raumdeuter (letteralmente “cacciatore dello spazio”) nel ruolo di punta, perché doveva essere di Timo Werner e di Havertz. Il primo a casa infortunato, il secondo entrato e uscito a singhiozzo dalle partite. Tre partite da titolare, tre volte sostituito anzitempo, sempre tra il 65’ e il 70’, uscendo dal campo insoddisfatto.

Sapeva già da tempo in cuor suo che questo sarebbe stato probabilmente il canto del cigno con la Mannschaft, ma si augurava di poterlo ritardare ancora un po’, soprattutto in ottica Euro 2024 da giocare in casa. Ci sarà probabilmente Manuel Neuer (“se mi chiameranno, risponderò presente”), ma non più Thomas.

Thomas Müller
“Se questa è stata la mia ultima gara, voglio dire a tutti che è stato un enorme piacere. Abbiamo vissuto momenti incredibili insieme: sappiate che ci ho sempre messo amore, ho lasciato il cuore in campo in ogni partita”.

Le sue parole alla tv tedesca Ard a caldo, in campo, ancora con gli occhi lucidi, suonano fortemente come un addio ad una maglia a cui ha dato tantissimo e da cui ha ricevuto altrettanto. 121 presenze complessive e 44 goal segnati, quarto per gettoni totali e settimo per reti segnate, più il Mondiale vinto nel 2014.

Sognava un ritorno diverso quando un anno e mezzo fa Joachim Löw era tornato sui propri passi, richiamandolo per Euro 2020 dopo averlo fatto fuori un paio d’anni prima. Voleva ripartire dai giovani, si è reso conto che non poteva fare a meno del suo veterano. Che già a giugno non aveva brillato, divorandosi anche il possibile 1-1 agli ottavi contro l’Inghilterra.

Oggi, un’altra delusione. Per lui abituato ad essere il volto dei successi, ma che stavolta è l’immagine di un fallimento.

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