Gli inizi di Jürgen Klopp: la genesi di un mito costruito a Mainz

Klopp Mainz GFXGetty Images

“Vincere la Champions League è fantastico, ma i l mio traguardo più importante rimarrà per sempre la promozione ottenuta con il Mainz nel 2004. Avevamo una piccola squadra, giocavamo contro grandi avversari. Ciò che abbiamo fatto non può essere superato”.

Basterebbe questo per capire Jürgen Klopp. La sua personalità, il suo attaccamento, la sua passione. L’allenatore più vulcanico del panorama calcistico internazionale, che ha vinto campionati storici, la Champions League, preso parte a sfide epiche, anche dopo tutti questi traguardi identifica come il suo miglior traguardo una promozione dalla 2. Bundesliga alla massima serie tedesca. Con il Mainz, una squadra che di storia di fatto non ne ha mai avuta, se non nelle categorie minori del calcio tedesco. In una città che ha un’importante storia romana e medievale. Famosa soprattutto per il tradizionale Carnevale cittadino.

Ci voleva un giovane calciatore nato nella Foresta Nera, qualche centinaio di km più a sud, per metterla sulla mappa del calcio internazionale. Arrivato a 23 anni, nel 1990, dopo un paio di avventure senza grande successo a Francoforte. Ruolo? Jolly, attaccante, giocatore di fantasia e concretezza. Dietro le punte o lui stesso da punta. 10 goal alla prima stagione, 8 alla seconda. Eppure anno dopo anno, paradossalmente, la sua posizione arretrava. Superiorità nelle letture, necessità del momento. Dove lo mettevi, stava. E incideva. Con un grande obiettivo: la promozione in Bundesliga. Voleva fare il salto di qualità.

Nel 1995 l’incontro che gli ha cambiato la vita. Il Mainz aveva assunto Wolfgang Frank, ex calciatore della Germania Ovest che aveva scelto la Svizzera per maturare calcisticamente e come allenatore. Era tornato in Germania nel gennaio 1994 con l’Essen. A settembre dell’anno dopo la chiamata del Mainz. Aveva sviluppato principi innovativi, un calcio diverso, basato sul pressing e sulla zona, senza l’utilizzo del libero. Difesa a quattro, principi da memorizzare per tutti i giocatori. Klopp apprendeva da lui. Lo ha sempre citato come il suo modello, la sua ispirazione. Ha formato una scuola di tecnici, tra i quali l’attuale allenatore del Darmstadt Torsten Lieberknecht, che recentemente ha portato il Braunschweig in Bundesliga, e l’ex sempre del Mainz Sandro Schwarz, colonna della squadra in quegli anni.

Klopp è stato l’allievo di Frank che ha avuto maggior successo. Prima di andarsene nel settembre 2013 a causa di un tumore al cervello, il mentore dell’attuale tecnico del Liverpool aveva fatto in tempo ad assistere alla finale di Champions League del suo Borussia Dortmund. Non è mai riuscito ad allenare in Bundesliga. Così come Klopp non è mai riuscito a giocare in Bundesliga. La panchina era nel suo destino.

Il giorno in cui cambia la vita di Klopp è il 26 febbraio 2001. In città era Carnevale. Tutti erano presi a festeggiare. A parte i giocatori del FSV Mainz 05. Stava vivendo una stagione complicata. Vandereycken aveva iniziato la stagione, poi l’addio dopo 14 partite. Il suo successore Krautzun è sopravvissuto per 9. La retrocessione sembrava inevitabile. Il giorno prima aveva giocato contro il Greuther Fürth. Christian Heidel, l’allora Direttore Sportivo, non riusciva a trovare una soluzione al problema. Aveva deciso di esonerare Krautzun, che si era proposto in prima persona telefonicamente con un monologo sulla difesa a quattro di Wolfgang Frank. Il ‘ghost writer’ era stato Klopp, che telefonicamente gli aveva spiegato i principi di Frank. Era partito benissimo, poi il crollo.

Heidel aveva capito che tornare ai principi tattici della difesa a zona di Frank era l’unico modo per salvarsi. Nessuno allenatore però, a parte Frank stesso, sembrava in grado di implementare quel sistema. Così ha deciso di lascare la squadra in ‘autogestione’. Poi è andato da Klopp, che viveva la coda della sua carriera come terzino destro, tra qualche infortunio di troppo e alcune panchine. Con prestazioni ormai poco brillanti. Heidel lo aveva identificato come l’uomo giusto, il personaggio più carismatico, in grado di rappresentare la guida per la squadra. In grado di restituire verve a un ambiente ormai prossimo alla retrocessione in terza serie dopo anni passati in Zweite alla ricerca di una promozione mai centrata, con pochissimi spettatori al seguito.

“La nostra unica possibilità di salvarci era tornare ai principi di Frank, ma non riuscivo a trovare nessuno, non avevo idea di chi potesse andare bene per un lavoro simile.Pensai di provare a fare qualcosa di spettacolare: di allenarci da soli. In squadra c’erano ottimi giocatori, ragazzi intelligenti. Avevo visto tanti allenamenti e avrei potuto spiegare il modulo, ma non avevo mai giocato nemmeno in quarta serie. Sarebbe stato ridicolo”, ha raccontato Heidel a Raphael Honigstein nel suo libro ‘Klopp: Scatenate l’inferno”.

Una telefonata, nella stanza d’albergo in cui il Mainz si trovava in ritiro, o in punizione a seconda dei punti di vista, per evitare le distrazioni carnevalesche. All’altra estremità del filo, Klopp, che non aveva patentini da allenatore, che aveva giusto studiato scienza dello sport. Le spiegazioni sulla necessità di cambiare. Sull’idea di allenarsi da soli. Sul bisogno di una figura in grado di guidare il gruppo. La domanda. Qualche secondo di silenzio, poi il “sì”. Un’altra telefonata al presidente, che stava festeggiando il Carnevale in maschera. Svestito, si è precipitato da Klopp. Tutto d’un tratto il ritiro — da miglior marcatore nella storia del Mainz, primato che ha perso qualche anno fa. Si è ritrovato in panchina, da capo allenatore. Nel giro di ventiquattro ore, la fine della carriera di giocatore e quella di allenatore. L’inizio del mito.

Tutte doti che erano riconosciute in Jürgen Klopp, che già ai tempi di Francoforte a fine anni ’80 era stato allenatore part time nelle giovanili dell’Eintracht. Un lavoro come un altro per mantenersi a poco più che vent’anni. Anche perché già al tempo allenandosi vicino ad Andreas Möller aveva capito che il calcio dei grandi non sarebbe stato roba sua. Aveva invece capito l’importanza della tattica: spesso in panchina contestava gli allenatori per le loro decisioni tattiche. Addirittura l’ex allenatore Costantini gli aveva tolto la fascia di capitano e lo aveva messo fuori squadra per un periodo.

In panchina, altra storia. Da subito. Nessuno ci credeva, la stampa irrideva la decisione del Mainz di puntare su Klopp. Alla conferenza stampa di presentazione, i giornalisti ridevano. Ma l’empatia con la squadra era stata eccezionale. Primo anno, salvezza. Secondo anno, promozione sfumata di un punto dietro al Bochum e all’Arminia Bielefeld dopo aver avuto in mano la promozione fino alla penultima giornata, prima che una sconfitta all’ultima giornata contro l’Union Berlino (il 5 maggio 2002) provocasse lo psicodramma. Terzo anno, promozione sfumata soltanto per differenza reti con l’Eintracht Francoforte all’ultima giornata, a causa di due goal segnati dall’ex squadra di Klopp in pieno recupero. Altro dramma, altra promozione sfumata. Al terzo anno, finalmente, la promozione. Pari punti con il Cottbus al terzo posto, ma con la differenza reti stavolta nettamente a favore.

“Nessuno sarebbe stato in grado di riprovarci dopo due anni chiusi in quel modo. Nessuna squadra, in nessuna città, nessun tifoso. Non c’è nessuno come il Mainz. Non c’è nessuno come noi, non c’è nessuno come i nostri tifosi. Non esiste una forma di unione più sincera di questa”.

I primi due anni in Bundesliga si chiudono con due salvezze più che tranquille, poi la retrocessione nel 2007. Indolore, per una volta, visto che ormai il Mainz era riuscito a mettersi sulla mappa del grande calcio tedesco. Klopp è rimasto un altro anno, in Zweite, nonostante ormai per tutti fosse un allenatore da Bundesliga. Tanto che nel 2008 sarebbe andato al Borussia Dortmund per iniziare un ciclo che ha fatto la storia del calcio. Nulla di paragonabile a Mainz e al suo amore per una città a cui ha dato tutto.