Ariel Ortega, l'erede di Maradona mancato che ha giocato con Sampdoria e Parma

Ariel Ortega GFX
Giocatore dal grandissimo talento, Ariel Ortega ha vestito anche le maglie di Sampdoria e Parma. In Italia si vedranno solo sprazzi della sua classe.

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Francia ’98 è stato per l’Argentina il Mondiale che ha rappresentato l’inizio di una nuova era. Per la prima volta dopo sedici anni, e quindi da Spagna ’82, la nazionale Albiceleste era chiamata a recitare un ruolo da protagonista sul più importante palcoscenico calcistico che ci sia senza poter contare sulle straordinarie qualità, oltre che sulla leadership dentro e fuori dal campo, del più grande campione di ogni tempo: Diego Armando Maradona.

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Il leggendario fuoriclasse argentino infatti, aveva annunciato nel 1997 il suo ritiro dopo aver stillato fino all’ultima goccia del calcio che gli era rimasta, lasciando dietro di sé, oltre a un enorme vuoto, anche un’eredità praticamente impossibile da raccogliere.

Tuttavia, quando è arrivato il momento di affidare a qualcuno la pesantissima maglia numero 10 della nazionale, ovvero quella che per lui era stata più di una seconda pelle, i dubbi sono stati pochi. La scelta ricadde infatti su un ragazzo che all’epoca, dall’altra parte dell’oceano, veniva visto come la cosa più vicina possibile a Maradona: Ariel ‘El burrito’ Ortega.

Sulle origini del suo soprannome, che in italiano sarebbe ‘L’asinello’, c’erano e ci sono ancora oggi dei dubbi (secondo alcuni era dovuto alla sua testardaggine, secondo altri al suo ciondolare in campo, mentre c’è chi giura che l’abbia ereditato dal padre che era detto ‘El burro’), ma su una cosa nessuno aveva dubbi: con il pallone ci sapeva fare come pochi.

Era cresciuto nel River Plate, squadra nella quale aveva esordito a diciassette anni, e con la quale si era imposto come uno dei più grandi talenti del pianeta. A Buenos Aires aveva formato con Enzo Francescoli ed Hernan Crespo un trio d’attacco semplicemente meraviglioso e a soli ventiquattro anni poteva già vantare quattro Campionati di Apertura, una Copa Libertadores ed un argento olimpico nel suo palmares.

Già nel 1994 aveva preso parte ai Campionati del Mondo, quelli che si giocarono in USA, lo aveva fatto da giocatore più giovane della rosa e aveva tra l’altro esordito nel torneo sostituendo proprio Maradona nelle battute finali di una sfida vinta 4-0 contro la Grecia. Allora furono molti a vedere in quel cambio una sorta di passaggio di consegne.

Quella che si presenta dunque in Francia è una squadra orfana del più grande di tutti’ ma comunque fortissima. Passarella, che conosce Ortega come nessun altro visto che è stato lui a lanciarlo nel River, può infatti contare su campioni del calibro Veron, Almeyda, Simeone, Zanetti, Sensini, Crespo, Claudio Lopez e di un Batistuta presentatosi all’evento nelle sue migliori condizioni possibili.

Gli occhi di molti sono però soprattutto per ‘El burrito’, che intanto è reduce da una stagione complicata vissuta a Valencia. Si è trasferito in Spagna nel febbraio del 1997 diventando il giocatore fino a quel momento più costoso dell’intera storia del club e, dopo aver segnato sette goal in dodici partite nei suoi primi mesi da protagonista della Liga, nell’annata successiva è entrato in rotta di collisione con Claudio Ranieri, il tecnico che intanto aveva preso il posto di quel Jorge Valdano che tanto l’aveva voluto alle sue dipendenze.

“Ortega è un giocatore di qualità, ma non gli piace allenarsi - spiegherà lo stesso Ranieri - Da quando sono al Valencia ha lavorato quarantatré ore in meno rispetto ai suoi colleghi. E’ sempre stanco e mi chiedo se stia pensando esclusivamente ad arrivare riposato ai Mondiali”.

Passarella affida ad Ortega una maglia da titolare inamovibile alle spalle del ‘PiojoLopez e di Gabriel Omar Batistuta e la fiducia riposta viene ripagata alla grande. L’Argentina, nella fase a gironi, batte il Giappone, la Giamaica (5-0 con doppietta proprio del ‘Burrito’) e la Croazia. Tre vittorie su tre che non sono però sufficienti per evitare negli ottavi un’altra tra le grandi favorite per la vittoria finale del torneo: l’Inghilterra.

E’ il 30 giugno 1998 quando le due compagini di affrontano a Saint-Étienne nella sfida che mette in palio l’ultimo pass per i quarti. Quella con gli inglesi è una partita che storicamente non può essere come tutte le altre, vista la grande rivalità tra le due nazionali, e a rendere il tutto ancora più straordinario c’è un altro fattore: quella guidata da Hoddle è effettivamente una rappresentativa fortissima.

Sia Argentina che Inghilterra possono contare su campioni di caratura mondiale e infatti in molti parlano di quella partita come di una delle classiche ‘finali anticipate’.

L’Albiceleste passa subito grazie ad un rigore trasformato da Batistuta, ma gli inglesi rispondono con Shearer, che segna ancora dal dischetto. L’Inghilterra poi completa il sorpasso con Owen, ma al 46’ ci pensa Zanetti a riportare il risultato in parità. E’ stato un primo tempo epico, con continui ribaltamenti di fronte, ma tra i ventidue in campo a rubare la scena è stato soprattutto Ortega.

Il 10 argentino sfodera una prestazione incredibile, certamente una delle migliori della sua carriera. Si muove lungo tutto l’arco di gioco offensivo, torna a centrocampo a prendere il pallone e detta i ritmi di gioco, sforna giocate di altissima classe, fa letteralmente impazzire Beckham (che poi al 47’ verrà espulso) e nei 120’ che si disputeranno, collezionerà qualcosa come quattro tunnel, un paio dei quali ai danni di Ince e Scholes.

Ariel Ortega Argentina 1998

La sua è stata una prova da dominatore assoluto, sebbene non bagnata da goal e assist, e quando l’Argentina si imporrà ai calci di rigore, saranno in molti a vedere il lui l’uomo capace di trascinare l’Albiceleste più di chiunque altro.

Quando il 4 luglio la squadra di Passarella torna in campo per sfidare l’Olanda, l’uomo più atteso è quindi Ortega. Tutti si aspettano un’altra partita da campionissimo, ma questa volta le cose vanno in maniera diversa. Il ‘Burrito’ fa più fatica ad incidere e soprattutto all’88’, sul risultato di 1-1 e con gli avversari in inferiorità numerica, incappa in un errore imperdonabile: punta Stam in area nel tentativo di superarlo, ma cade a terra. Reclama il rigore, ma per l’arbitro messicano Arturo Brizio Carter è simulazione. Ortega, furibondo, nel rialzarsi rifila una testata a Van der Sar meritandosi l’espulsione. E’ di nuovo parità numerica.

Il 10 dell’Argentina non ha ancora finito il giro del campo che conduce agli spogliatoi quando Bergkamp, meno di due minuti più tardi, segna il goal che vale il 2-1 ed il trionfo dell’Olanda.

“E’ stato un qualcosa che per me ancora oggi è difficile da superare - ammetterà nel 2019 a ‘Telefé’ - E’ stata una delle cose più tristi che mi sia mai capitata. Fino a quel momento il mio Mondiale era stato meraviglioso, ero nel pieno della mia carriera. La mia fu una reazione della quale ancora mi rammarico. Fu una questione di millisecondi. Vorrei poter tornare indietro nel tempo, abbiamo perso per colpa mia. Ho vissuto quei minuti come una tragedia”.

Francia ’98 rappresenta una sorta di paradigma di quella che è stata la carriera di Ortega. E’ stato infatti un giocatore capace di far intravedere cose sontuose, ma anche di incappare in cadute rovinose. Quel torneo ha ‘raccontato’ come meglio non poteva il cammino di un calciatore parso tante volte ad essere lì ad un passo dalla consacrazione a livello planetario, ma poi troppo frenato dall’indolenza e dai quei demoni con i quali sarà poi costretto per anni a fare i conti.

Nonostante il triste epilogo di Olanda-Argentina, Ortega si riscopre alla fine di quel Campionato del Mondo come uno dei giocatori più ambiti in assoluto. La frattura con Ranieri è infatti ormai insanabile ed il Valencia fa partire una vera e propria asta per la cessione del suo cartellino.

Il ‘Burrito’ viene accostato al PSG, al Manchester United e anche alla Juventus, ma alla fine, quasi a sorpresa, a spuntarla è la Sampdoria. Il club blucerchiato, che è alla ricerca del sostituto di Juan Sebastian Veron, mette sul tavolo qualcosa come ventitré miliardi di lire pur di affidare all’argentino la sua numero 10, mentre al giocatore viene garantito un ricco contratto da due miliardi e mezzo l’anno. Sono cifre elevatissime.

“Ho deciso di andare in Italia perché lì si gioca un calcio che garantisce maggiori motivazioni rispetto a quello inglese o francese”.

Nelle idee della società ligure, Ortega deve essere il campione capace di illuminare la manovra e di innescare Palmieri e Montella. Quella messa a disposizione di Luciano Spalletti è una rosa con buone ambizioni e l’argentino dimostra di non patire l’impatto con il calcio italiano. Nelle prime otto giornate mette a referto tre goal e tre assist, ma i risultati faticano ad arrivare anche perché Vincenzo Montella, l’uomo di punta dei blucerchiati, già alla seconda giornata riporta un infortunio che lo costringe ai box per quattro mesi.

Ariel Ortega Sampdoria

La Sampdoria, dopo una discreta partenza, si riscopre quindi impantanata dalle sabbie mobili della zona retrocessione. Non riuscirà più ad uscirne e a nulla varranno gli avvicendamenti in panchina che condurranno Spalletti, Platt e poi ancora Spalletti alla guida della squadra.

Ortega nel frattempo ha alternato prove opache a magie che hanno incantato i tifosi (straordinaria sarà la sua prestazione in un 4-0 contro l’Inter), ma i suoi numeri, otto goal in ventisette partite, non basteranno ad evitare l’inevitabile.

E’ il 16 maggio quando il Doria, pareggiando 2-2 a Bologna, si riscopre aritmeticamente condannato alla più clamorosa delle retrocessioni.

L’estate successiva, con la Samp in B, l’addio a Genova diventa inevitabile. Alla sua porta bussa ancora il Manchester United, che ha in sir Alex Ferguson un suo grande ammiratore, e la volontà iniziale sarebbe quella di lasciare l’Italia per tentare un’avventura diversa, ma quando si fa avanti il Parma le cose cambiano.

Il club ducale è pronto ad investire tutti i soldi ricavati dalla cessione di Chiesa alla Fiorentina e ad Ortega viene data la possibilità, oltre che di ritrovare il suo ‘gemello’ al River Hernan Crespo, anche quella di essere collocato in un modulo estremamente offensivo: quello pensato da Alberto Malesani.

Il suo trasferimento al Parma viene visto come uno dei più importanti in assoluto della finestra estiva di mercato del 1999 e un’intera città sogna al pensiero di vedere quel potenziale fuoriclasse andare a rafforzare una squadra che può già contare su Buffon, Cannavaro, Thuram, Paulo Sousa, Marcio Amoroso e appunto Crespo (solo per citarne alcuni).

Le premesse per fare bene ci sono tutte, ma Ortega, che pure a Parma vincerà una Supercoppa Italiana, vivrà in gialloblù una stagione tormentata: le presenze in campionato saranno appena diciotto (ventisette quelle complessive) accompagnate da tre goal.

Ariel Ortega Parma

E’ a questo punto che in Ortega matura la decisione di tornare in Argentina. E’ convinto che nel suo River possa tornare ad essere il campione che aveva incantato il Sudamerica.

In una squadra nella quale si stanno facendo largo altri talenti come Aimar, Cavenaghi e Saviola si esalta e si riprende il suo posto da idolo incontrastato nel cuore della tifoseria dei Millonarios.

Ortega si diverte di nuovo e inizia a segnare come mai aveva fatto prima, portando la sua squadra alla vittoria del Clausura. Quando nell’estate del 2002 ci sarà da stilare la lista dei convocati per i Mondiali in Corea del Sud e Giappone, Bielsa lo inserirà nei suoi ventitré consegnandogli ancora la 10.

Di Ortega si dirà che sarà l’unico giocatore per il quale il ‘Loco’ è pronto a fare un’eccezione: sa che imbrigliarlo in moduli e schemi vuol dire limitarlo e quindi in campo gli fa fare quello che si sente di fare. La fiducia non viene però ripagata con prestazioni all’altezza.

Il ‘Burrito’ si trasferirà poi al Fenerbahçe per un ultimo tentativo in Europa, ma proprio una trasferta con l’Argentina gli farà capire che la vita in Turchia non fa per lui. Si renderà irrintracciabile e la cosa porterà ad una lunga squalifica, oltre che ad una multa di undici milioni di dollari, che lo convinceranno del fatto che è ormai giunto il momento di ritirarsi.

Risolto il contenzioso, tornerà in realtà in campo dopo diciannove mesi nel 2004 questa volta per trascinare, dopo dodici anni di attesa, il Newell’s Old Boys al trionfo nel torneo di Apertura.

Nel 2006 tornerà nel suo porto sicuro, il River Plate, dove ad accoglierlo troverà uno dei suoi maestri, Daniel Passarella. Nei successivi due anni dà quello che ancora gli resta, e vince anche un altro Clausura, ma ormai non è più il giocatore nel quale in molti avevano intravisto l’erede di Maradona.

La vita l’ha infatti condotto in un tunnel dal quale non riesce ad uscire ed i continui ritardi, gli allenamenti saltati e le lunghe nottate passate fuori non vengono tollerati dal suo ex compagno di squadra e nuovo allenatore, Diego Simeone, che nel 2008 lo mette praticamente alla porta.

“Per me è stato come un tradimento - spiegherà a ‘Marca Claro’ - In quel momento mi fece male. Andai nella sua stanza e dissi a lui e Vivas tutto ciò che avevo da dire. Li ho ricoperti di insulti”.

Quando Ortega viene ceduto nell’inverno del 2008 all’Independiente Rivadavia, una squadra che milita nella Segunda Division argentina, i suoi problemi con l’alcol sono ormai noti a tutti. Tra le clausole inserite nel suo contratto c’è anche quella che gli consente di recarsi due volte a settimana in Cile per sottoporsi a dei trattamenti che lo aiutino a vincere la sua partita più importante: quella contro l’alcolismo.

“Piango quando sono da solo - svelerà a ‘Olé’ - Sono una persona come le altre che ha problemi come tutte le altre. Cerco di risolverle nel migliore dei modi possibili e di vivere il più felicemente possibile. Dicono che piangere faccia bene ed io così mi scarico. Sono contento quando gioco a pallone, perché è la cosa che mi piace di più fare. Il calcio è il mio posto nel mondo”.

ariel ortega 2010

Giocherà per un altro anno e mezzo nel suo River Plate, prima di trasferirsi all’All Boys e chiudere la carriera nel 2012, dopo un’ultima esperienza con i Defensores de Belgrano, nella terza serie del calcio argentino.

Ariel Ortega rientra a pieno titolo in quel vasto gruppo di campioni che avrebbero potuto fare molto di più. Dal punto di vista tecnico aveva tutto ciò che si può desiderare, ma evidentemente non è bastato.

“C’è stato un momento della mia vita nel quale sono stato molto ribelle - ha raccontato ad Atilio Costa Febre in una diretta Instagram - Non so cosa mi sia successo, mi arrabbiavo con la vita e combattevo contro di essa. Avrei potuto vivere meglio il calcio: potevo allenarmi di più e allora avrei segnato, giocato e vinto di più. La mia vita è andata così. Siamo esseri umani e commettiamo degli errori. La vita appartiene ad una persona e cerca di viverla come meglio può”.

Di Ariel, detto ‘El burrito’, Ortega, resta forse il rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, ma restano anche quelle magie che per un breve lasso di tempo hanno fatto realmente pensare a lui come il vero erede di Diego Armano Maradona.

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