
"Ce n'erano pochi come lui: era un giocatore a tutto campo, era lui a iniziare le azioni, aveva una grande personalità. Era uno degli ispiratori del gioco della squadra, quando non sapevi cosa fare bastava affidargli la palla. Era anche una grande persona, un ottimo compagno di squadra: non era difficile essere suo amico" - Giacomo Losi su Antonio Valentin Angelillo
Con la sua classe e i grandi mezzi tecnici che possedeva, probabilmente Antonio Valentin Angelillo si sarebbe trovato pienamente a suo agio in un calcio come quello di oggi che tutela i grandi attaccanti.
Enfant prodige, si afferma giovanissimo come grande talento grazie alla vittoria del Campionato sudamericano del 1957 con l'Argentina guidata dal 'Filtrador' Guillermo Stabile dove è grande protagonista assieme ad Humberto Maschio ed Enrique Omar Sivori, i tre 'Angeli dalla faccia sporca'.
Acquistato dall'Inter, dopo qualche problema di ambientamento, esplode nella stagione 1958/59, nella quale stabilisce il record di sempre dei campionati a 18 squadre con 33 goal in 33 partite giocate su 34.
Dopo due stagioni meno prolifiche, l'arrivo in panchina di Helenio Herrera, segna la fine della sua storia nerazzurra. Il 'Mago' ne chiede e ottiene da Angelo Moratti la cessione, ufficialmente per la love story con la ballerina e cantante separata Ilya Lopez, che nell'Italia bacchettona degli anni Cinquanta-Sessanta suscitò grande scandalo, nei fatti per sostituirlo con il suo pupillo Luisito Suarez.
Angello, trasformatosi da centravanti a mezzapunta, gioca così anche con le maglie di Roma, Milan, Lecco e Genoa in Serie B, vincendo una Coppa Italia e una Coppa delle Fiere in giallorosso e uno Scudetto in rossonero. Dopo esser stato nazionale argentino, indossa nella maturità anche la maglia azzurra dell'Italia da oriundo.
Dopo il ritiro a 32 anni, si dimostra anche buon allenatore, ottenendo risultati prestigiosi soprattutto in provincia con Pescara e Arezzo.
IL GIOVANE CAMPIONE
Nato a Buenos Aires il 5 settembre 1937, Antonio Valentin Angelillo è il figlio unico di Antonio, carnicero, ovvero macellaio, e Soledad. Suo nonno era un italiano emigrato in Argentina da Rapone, piccolo Comune della Lucania.
"La nostra era una famiglia modesta - racconterà Antonio Valentin ad 'Avvenire' nel gennaio 2018 - ma ho potuto studiare, sono diventato perito meccanico. Mio padre per lavorare in macelleria si alzava alle cinque del mattino, quando andavo a scuola passava a darmi un bacio, che sapeva di sudore... Al resto pensava mamma, anche al calcio".
Angelillo si forma calcisticamente nell'Arsenal de Llavallol, club locale in cui il ragazzo di origini italiane muove i suoi primi passi nel Mondo del calcio.
"Buenos Aires era la città di Borges e di Gardel, il dio del tango. Immensa. Viva. Bellissima. Lì il calcio era arte, secondo solo al tango. C'erano Di Stefano e Pedernera nel River, Martino e Pontoni nel San Lorenzo de Almagro. Io assomigliavo molto a Pontoni, centravanti del San Lorenzo. Tecnica e movimento. Studiavo e suonavo. Per quattro anni ho suonato il bandoneón, una fisarmonica per il tango, che si teneva sulle ginocchia. Ma quando El Gordo Diaz mi vide, incominciai a giocare nell'Arsenal".
"Mi presero all'Arsenal, vicino a casa, ragazzino, ed era mamma che raccontava a babbo i miei progressi. Quella era davvero una scuola, da lì erano passati Di Stefano e Maschio. L'allenatore era Fortunato, un vero maestro. Quando ancora ero una mascotte, vennero a vederci il presidente Perón e sua moglie Evita. In campo davamo spettacolo. Perón, quando mi vide in azione, mi regalò cento pesos, una bella cifra per l'epoca".
Il salto avviene nel 1955, visto che dopo tre anni di Arsenal, Angelillo passa al Racing de Avellaneda, club con cui debutta nella Prima Divisione argentina.
"A 17 anni ho debuttato nella Serie A argentina in Huracàn-Racing", racconterà.
Con 'La Academia', Antonio resta però una sola stagione (3 reti in 9 partite) visto che nel 1956 a puntare su di lui è il Boca Juniors. Gli Xeneizes ne comprano il cartellino per 4 milioni di pesos. Angelillo viene schierato da centravanti e realizza 16 goal in 34 presenze.
LA NAZIONALE ARGENTINA E IL SUDAMERICANO 1957
Le sue prestazioni di alto livello gli fanno guadagnare la chiamata della Nazionale argentina da parte del Ct. Guillermo Stabile, l'ex 'Filtrador', capocannoniere dei Mondiali del 1934 che da calciatore aveva giocato anche in Serie A. In forza all'Albiceleste partecipa nel 1957 al Campionato Sudamericano (così ai tempi si chiamava la Copa America) ed è subito boom assieme ai suoi partner d'attacco Humbero Maschio ed Enrique Omar Sivori, con cui compone il trio degli 'Angeli dalla faccia sporca', soprannome dato loro da un massaggiatore perché uscivano sempre fuori dal campo con il volto sporco di fango, e preso in prestito dal famoso film del 1938.
"Presto ho esordito in Nazionale - dirà -. Il trio d'attacco era Maschio-Angelillo-Sivori. Quando vincemmo il Sudamericano di Lima del '57, siamo diventati 'Los Angeles con caras sucias' 'Gli Angeli dalla faccia sporca'. In quel torneo Maschio segnò 9 goal, io ne feci 8. Sívori ne realizzò solo 3: lui si divertiva. C'era anche il Brasile che l'anno dopo avrebbe vinto il titolo mondiale e che battemmo nella gara decisiva per 3-0. Io in quella squadra giocavo centravanti, ma non me ne stavo mai fermo".
L'avventura di Angelillo come attaccante dell'Argentina si conclude però nello stesso anno, con 11 goal segnati in altrettante presenze, quando l'Inter del presidente Angelo Moratti decide di portarlo in Italia prima di compiere 20 anni.
DAL BOCA JUNIORS ALL'INTER
Come i suoi partner d'attacco nell'Albiceleste, Maschio e Sivori, passati rispettivamente al Bologna e alla Juventus, anche Angelillo è ingaggiato da un club italiano dopo l'esplosione internazionale in Perù: lo acquista infatti l'Inter.
"Il dottor Cappelli, venuto a vedere per conto del Milan Tito Cucchiaroni, che giocava con me nel Boca, quando tornò in Italia, disse a Moratti: 'Ho il centravanti per voi'. Così fui ceduto la sera di Argentina-Uruguay, 1-1, sul campo dell'Huracán. Quella fu l'ultima mia partita con l'ultimo goal per l'Argentina".
"Arrivai a Milano a fine giugno del 1957 per 80 milioni di pesos. Avevo 19 anni ed ero un disertore, perché sarei dovuto partire militare e non sarei potuto andare all'estero. Invece ci andai. Così, per vent'anni, non sono più potuto tornare in Argentina".
L'Inter si ritrova così in squadra quello che in Argentina già hanno ribattezzato 'Il nuovo Di Stefano'. Debutta in Serie A l'8 settembre 1957 nel pareggio per 0-0 contro il Torino. Angelillo gioca in attacco con l'esperto 'Veleno', al secolo Benito Lorenzi, ormai trentatreenne e alla sua ultima stagione da calciatore, Nacka Skoglund, anche lui ormai in là con gli anni, e Oscar Massei, come lui oriundo italo-argentino.
Gli esordi per il grande acquisto non sono semplici, nonostante una tripletta rifilata a San Siro alla Lazio alla terza giornata di campionato.
"L’impatto fu duro - confermerà a 'La Gazzetta dello Sport' -. Ricordo una Milano con poche auto, con molta più nebbia e neve di adesso. Con me c’erano i miei genitori, il problema più grosso era la lingua. Per questo decisi di abitare in una pensione con Fongaro e Masiero, miei compagni di squadra. Imparai l’italiano e diventò tutto più facile".
La prima stagione in Italia si chiude per 'A.V.A.', come lo ribattezza il grande Gianni Brera, con 16 goal segnati in 34 partite e dopo il tris alla Lazio, altre quattro doppiette. L'Inter però chiude con un deludente 11° posto.
L'UOMO DEI RECORD
Bravo ragazzo, dai lineamenti dolci da attore cinematografico, Angelillo a Milano ha l'aria timida e malinconica del suonatore di bandoneón, accentuata dalla delusione della mancata partecipazione ai Mondiali in Svezia. Un 'disertore' non può vestire la divisa dell'Albiceleste, che così è eliminata presto dal torneo.
Quando i giornalisti chiedono al Ct. Stabile perché l'Argentina è stata eliminata precocemente nel torneo, lui risponderà in spagnolo:
"Porque el mas grande centerforward del mundo es a Milan", ovvero: "Perché il più forte centravanti del Mondo sta a Milano".
Per farlo ambientare meglio Angelo Moratti chiede a Fongaro e Masiero, scapoli come lui e che con lui condividono l'appartamento a Milano, di farlo uscire la sera con loro. In una di queste serate, nel night club 'Porta d'Oro', il campione conosce la ballerina e cantante Ilya Lopez, nome d'arte della bresciana Attilia Tironi. E ne resta letteralmente folgorato.
Carismatico e affascinante l'argentino, con i baffetti alla Clark Gable, capelli corti e biondi, occhi scuri e sguardo profondo la soubrette, fra i due nasce una travolgente storia d'amore. E Antonio, alla sua seconda stagione con l'Inter, con accanto Firmani, Bicicli e il giovane Mario Corso inizia a segnare a raffica.
"A.V.A., era un principe de la pelota - scriverà Gianni Brera su 'La Repubblica' -. Le sue mosse feline obbedivano a naturale e mai voluta eleganza. I piedi si appoggiavano alla palla come un pennello ai colori in tavolozza. La falcata variava secondo estri e necessità agonistica. Il suo calcio era propriamente una danza ora concitata ora lieve, ora violenta ora blanda e quasi soave nei toni".
Parte con una tripletta all'Udinese il 21 settembre alla prima giornata, va in goal anche con Padova (1 rete) e Genoa (doppietta), quindi contro la SPAL, a San Siro, il 12 ottobre 1958, realizza addirittura una cinquina.
"Il giorno non dovevo nemmeno giocare - rivelerà a 'La Gazzetta dello Sport' -. Mi faceva male il ginocchio. Il medico mi disse che potevo farcela e così andai in campo...".
L'anno magico dell'italo-argentino prosegue e, fra le tante reti, vanno ricordate le due doppiette contro la Roma, fra cui un goal con una spettacolare rovesciata, e il sigillo nel Derby di andata (1-1). In quel 1958/59 Angelillo entra nella storia del calcio italiano, trasformandosi nel bomber dei record dell'Inter. Segna 33 goal in 33 partite (su 34, perché una la salta per squalifica, comminata per essersi spintonato con Boniperti nel tunnel che porta agli spogliatoi), vince il titolo di capocannoniere della Serie A e, soprattutto, stabilisce il record di marcature in un campionato a 18 squadre, primato che dura ancora oggi.
"Bastava che toccassi la palla ed era goal - rivelerà -. Ne feci 31 in 27 giornate. Poi la porta diventò stregata. Il record di Felice Borel, 32 reti, era lì alla porta, ma per sei giornate non segnai. Solo pali, salvataggi, errori clamorosi. Con l'Alessandria, alla penultima giornata, quando esordì Rivera, ebbi 5 palle-goal e non segnai: alla fine mi misi a piangere".
Il sortilegio si spezza all'ultima giornata contro la Lazio.
"Solo nell'ultima partita, a San Siro contro la Lazio, spezzai il tabù con una doppietta - ricorderà - Il mio marcatore Carosi non mi mollava un attimo. 'Ma perché fai così?', gli chiesi. E lui mi disse che gli avevano promesso un milione se non mi avesse fatto segnare. Non ho mai saputo chi è stato".
"Poi arrivarono i due goal a Lovati: uno su punizione, l’altro su un incertezza difensiva. E il record, anche se per quei 33 goal non ho mai preso né un premio né una lira. Ma nessuno è riuscito a fare meglio. Quello, ormai, resta il record del secolo".
I 33 goal di Angelillo in generale rappresenteranno un primato per un giocatore di Serie A fino a quando Gonzalo Higuain ne ha realizzati 36 gol con la maglia del Napoli nella stagione 2015/16 (campionato a 20 squadre).
Ai goal nel 1958/59 Angelillo aggiunge anche diversi assist per Firmani, autore a sua volta di 18 centri. In totale, considerando anche Coppa Italia e Coppa delle Fiere, le reti di Angelillo salgono a 38 in 40 presenze, bottino realizzativo che lo colloca come miglior marcatore in una sola stagione della storia nerazzurra assieme a Peppino Meazza.
Ma, nonostante l'exploit del suo giocatore più rappresentativo, che indossa anche la fascia da capitano della sua squadra, l'Inter deve accontentarsi del 2° posto in classifica alle spalle dei cugini del Milan.

IL GOSSIP E LA FRATTURA CON HERRERA
L'estate del 1959 Angelillo la trascorre a Palma di Maiorca con tanto di fughe improvvisate a Sanremo, assieme alla bella Ilya, e il gossip entra prepotentemente nelle loro vite. I paparazzi non danno tregua alla coppia del momento, con una storia che a molti ricorda quella di Fausto Coppi con la Dama Bianca.
E a risentirne è anche il rendimento sul campo di Antonio, che non riesce a ripetere minimamente la stagione del suo exploit, pur chiudendo in doppia cifra con 12 goal in 33 presenze. La situazione per il campione arrivato da Buenos Aires si fa pesante nell'estate del 1960, quando sulla panchina nerazzurra approda Helenio Herrera.
'Il Mago' non lo vede nel suo calcio iperatletico per l'epoca, vorrebbe più sacrificio da parte sua e la scandalosa (per i canoni dell'epoca) love story con Ilya diventa il capro espiatorio per chiedere ad Angelo Moratti la sua cessione.
"Rispetto a quello che succede oggi ero un santo - affermerà Angelillo -. La verità è che in quella stagione con Herrera io giocai soltanto 15 partite e segnai 8 goal. Quando giocavo l'Inter era prima in classifica, quando mi ha tenuto fuori non lo era più".
"Herrera era un grande preparatore, ma in panchina non capiva niente - affermerà l'ex attaccante a 'La Gazzetta dello Sport' -. La squadra la mettevano in campo Picchi, Suarez e Corso. Non dimentichiamoci che in società c’era Allodi. Herrera voleva pure liquidare Jair, ma il Genoa non lo volle".
Nel Natale del 1960 Herrera lancia l'ultimatum al giocatore: vietato vedere la cantante, ma per tutta risposta la coppia si fa fotografare in un noto ristorante. Un giornale organizza anche un sondaggio: 'Angelillo è finito o no?'. Il 60% salvò il calciatore, solo il 40% stava dalla parte dell’allenatore.
Il tecnico nerazzurro arriva persino ad incontrare la soubrette e a chiederle di lasciare Angelillo, ma la coppia resterà salda.
"Adoravo A.V.A. e Ilya me lo portò una sera all'osteria da Chang e mi confidò di averlo fatto vistare da uno psicologo, il cui verdetto era stato che 'el mas grande centerforward del mundo' aveva la capa d'un ragazzino di 14 anni non ancora compiuti - racconterà Brera -. Io dissi a Ilya che nessuno si sarebbe mai sognato di chiedere l'attacco dell'Orlando Furioso o del don Chisciotte a Di Stefano o a Rivera. Ilya me ne fu grata e A.V.A. completò con lei la propria educazione sentimentale".
Perseguitato, messo fuori squadra, alla fine Angelo Moratti, suo malgrado, non può non ascoltare il suo allenatore, e dopo un'altra vacanza alle Baleari di Antonio e Ilya, nell'estate del 1961 cede Angelillo alla Roma dopo 77 goal complessivi in 127 presenze ma nessun trofeo vinto.
"Accaccone (soprannome dato ad Herrera, ndr) lo prese in sinistra parte e pretese da lui che corresse oltre i limiti consentiti dalla ragione e dai soavi ricordi di Ilya - spiegherà ancora Brera - Accaccone adorava le donne ma non ammetteva che anche gli altri ne traessero motivi di soddisfazione e di gioia. Moratti dovette arrendersi e consentire che Angelillo se ne andasse dall'Inter per emigrare a Roma".
Herrera, dal canto suo, proverà sempre a giustificarsi:
"Ero convinto che il grande Angelillo sarebbe tornato quello di una volta. Più che l’amicizia di Angelillo mi interessano i suoi goal".
ROMA, MILAN, LECCO E GENOA
Se è vero che dalla cessione di Angelillo alla Roma per 270 milioni di Lire nascerà la Grande Inter, con l'arrivo a Milano di Luisito Suarez, è vero anche che in giallorosso il campione italo-argentino dimostrerà di essere tutt'altro che finito. Nella capitale può vivere più con serenità il suo amore per Ilya e in campo, spostato nel ruolo di sublime mezzala, dà spettacolo assieme a Francisco Ramón Lojacono e a 'Piedone' Manfredini.
Per Angelillo è una vera rivincita personale.
"Nel ritiro di Follonica, andavo con Carniglia in spiaggia alle 5, lui in bici e io a correre sulla sabbia - sottolineerà -. Poi alle 9 mi allenavo regolarmente con i compagni della Roma".
"Erano gli anni della 'Dolce vita' - ricorderà - eppure a Roma non si è mai parlato di me per episodi notturni. Non è che fossi sparito...".
In 4 stagioni in giallorosso Angelillo vince subito la Coppa delle Fiere nel 1960/61 battendo il Birmingham City nella doppia finale (2-2 in Inghilterra e 2-0 per la Lupa in casa) e successivamente la Coppa Italia nel 1963/64 (0-0 e 0-1 contro il Torino), benché l'italo-argentino non giochi le due finali.
"Sono state quattro stagioni indimenticabili - dirà del periodo giallorosso -. Con me la Roma ha vinto una Coppa Italia e una coppa delle Fiere. Ricordo il silenzio di una mattina, non sentivo il rumore delle auto. Aveva nevicato, la gente sciava come fosse a Cortina. Roma di allora era una città bellissima, vivibile".
A lui si interessa fortemente anche la Juventus, ed è in quell'occasione che Antonio capisce che nel suo contratto con la Roma c'è una clausola che gli impedisce di passare in forza ai bianconeri, al Milan e alla Fiorentina nei successivi tre anni dopo l'addio ai nerazzurri.
È il 1962 e Angelillo disputa a Torino un’amichevole con l’Ungheria vestendo la maglia della bianconera.
"Gioco col numero 10 al posto di Sivori - ricorderà -, la sera l’avvocato Agnelli mi invita a cena: 'Angelillo, lei è da oggi un calciatore della Juventus'. E invece l’indomani, Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti che sarebbe poi diventato presidente della Roma, mi dice che alla Juve non posso andare".
"Quando l’Inter mi aveva ceduto alla Roma aveva incluso nel contratto una clausola: non potevo essere ceduto a Juve, Milan e Fiorentina per tre anni. Ma come, mi consideravano finito e hanno messo questa clausola? - si chiederà - 'Se avessi saputo - dico ad Evangelisti -, non avrei firmato per la Roma".
Collezionate 41 reti in 152 partite giocando da mezzala con la maglia giallorossa, Angelillo, ormai diventato una riserva, prosegue la sua carriera fra Milan (2 stagioni con 30 presenze e 4 goal), con cui conquista lo Scudetto 1967/68 (3 partite e un goal pesante al Torino), Lecco (25 presenze e un goal nel 1966/67 con retrocessione a fine anno) e infine Genoa, in Serie B, con 24 presenze e 5 goal.
In mezzo anche un possibile passaggio al Napoli, con cui gioca una tournée in Sudamerica in coppia con Sivori nell'estate del 1967. Ma le prestazioni appena sufficienti e l'infortunio occorso a Sivori portano il club campano a salutarlo.
A 31 anni chiude la sua avventura da calciatore professionista per intraprendere successivamente la carriera da allenatore.

ORIUNDO NELLA NAZIONALE ITALIANA
Come gli altri due 'Angeli dalla faccia sporca', Sivori e Maschio, anche Angelillo può indossare da oriundo la maglia della Nazionale italiana. Rispetto ai suoi amici ed ex compagni nell'Albiceleste, però, avrà minor fortuna e considerazione.
Dopo aver incantato assieme a Boniperti nella Nazionale di Lega della Serie A, il suo apporto all'Italia si limiterà infatti a 2 presenze e un goal, realizzato a Torino il 4 novembre 1961 nella goleada per 6-0 contro Israele, valevole per le Qualificazioni ai Mondiali di Cile 1962. Non viene tuttavia preso in considerazione per la spedizione in Sudamerica, e quello di non aver mai giocato un Campionato del Mondo resterà uno dei rimpianti della sua carriera da calciatore.
"La Roma a quei tempi non aveva sufficiente peso politico", dichiarerà.
ANGELILLO ALLENATORE E OSSERVATORE
Da allenatore Angelillo girerà diverse realtà di provincia, ottenendo buoni risultati.
"Ho sempre corso da solo, ma non ho rifiutato nulla - dichiarerà -. Allora si diceva che un allenatore doveva far gavetta, magari ne faceva tanta e poi diventava vecchio".
Inizia fra i Dilettanti umbri, ricoprendo il ruolo di allenatore-giocatore con l'Angelana di Santa Maria degli Angeli, in provincia di Assisi. Qui, conclusa la storia d'amore con Ilya Lopez, conosce Bianca, friulana di Paluaro, colei che diventerà sua moglie e gli darà due figli.
Con la compagine umbra resta dal 1969 al 1971, con una retrocessione immediata il primo anno, seguita dal ritorno in Serie D nel secondo.
Guida poi Montevarchi, Chieti, Campobasso, Rimini, Brescia, Reggina e Pescara, con cui nel 1979/80 conquista la promozione in Serie A, grazie allo spareggio vinto con il Monza, e portando 40 mila tifosi biancazzurri in trasferta a fare il tifo per la squadra.
Segue un triennio d'oro con l'Arezzo, in cui conquista subito la Coppa Italia di Serie C e la promozione in Serie B, riportando gli amaranto in Seconda divisione dopo 7 anni. Nel 1983/84 sfiora addirittura la promozione in Serie A, e alla fine deve accontentarsi del 5° posto a soli 5 punti dalla zona promozione, dopo aver portato la squadra in vetta nella prima metà del girone di andata.
Il suo tour da allenatore in viaggio per la penisola riparte nel 1984/85: Angelillo allena Avellino, Palermo, Mantova, ancora l'Arezzo, poi va all'estero per guidare i marocchini del FAR Rabat e la Nazionale marocchina. In Italia chiude fra Serie C1 e Serie C2 con la Sassari Torres nel 1991. Nel 1994 allena infine l'Osorno in Cile, in quella che costituisce l'ultima esperienza in panchina.
"I ricordi belli sono lo spareggio per la A vinto col Pescara sul Monza e la promozione dell’Arezzo in B - dirà -. Di giocatori ne ho allenati tanti: a Brescia ho lanciato Altobelli e Beccalossi, ad Avellino ho rigenerato Diaz e cresciuto Di Napoli".
Divenuto osservatore per il Sudamerica per conto dell'Inter, è stato lui a consigliare gli acquisti di Javier Zanetti e Oscar Ramiro Cordoba, ma anche Walter Samuel, che tuttavia arriverà in nerazzurro soltanto qualche anno dopo.
Il bomber dei record si è spento all'età di 80 anni il 5 gennaio 2018 al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, dove era ricoverato da 2 giorni. Il suo ricordo resterà sempre legato allo straordinario primato del 1958/59, oltre che dell'immensa classe e dell'eleganza del suo stile, che alimenteranno per sempre il mito del campione di Buenos Aires.