Grazie alla sua intelligenza calcistica e non solo, sapeva giocare anche da mezzala offensiva oltre che da centravanti puro, il ruolo nel quale prevalentemente è stato utilizzato nella sua lunga carriera. Abel Balbo aveva un fisico potente e un destro esplosivo, che gli consentiva sovente di 'bucare' i portieri avversari, se gli veniva concesso lo spazio per concludere a rete, e lo rendeva un buon tiratore di punizioni, oltre che dei calci di rigore.
Bravo nei colpi di testa e dotato di buono spunto in progressione, sapeva coordinarsi alla perfezione negli spazi stretti e calciare con rapidità anche da posizione defilata. Dopo l'esplosione in Argentina con il Newell's Old Boys, approda in Italia all'Udinese. Inizialmente fa fatica ma poi affina la sua tecnica e diventa uno dei bomber più forti del campionato italiano. Passato alla Roma, forma con Daniel Fonseca una straordinaria coppia d'attaco. Per vincere però deve trasferirsi al Parma, dove, pur da rincalzo, vince Coppa Italia e Coppa UEFA.
Gioca anche nella Fiorentina, prima di far ritorno in giallorosso per conquistare, da riserva, lo Scudetto 2000/01 e una Supercoppa italiana. In mezzo tanta Argentina, con il 2° posto ai Mondiali di Italia '90 come miglior risultato, mentre nel 1994 il sogno iridato si spegne con la squalifica di Maradona. Dopo aver fatto per un breve periodo l'allenatore, oggi gestisce assieme a sua moglie un'azienda agricola e insegna calcio ai più giovani.
L'INFANZIA E L'ESPLOSIONE CON IL NEWELL'S OLD BOYS
Abel Eduardo Balbo, questo il suo nome completo, nasce il 1° giugno 1966 a Empalme Villa Constitución, nella provincia di Santa Fé, nei giorni in cui in Argentina si sta progettando il colpo di Stato militare del generale Juan Carlos Onganìa, mentre ad Abbey Road i Beatles stanno registrando Revolver, album che Eleanor Rigby e Yellow Submarine consegneranno all'immortalità.
"La mia infanzia è stata molto bella e sana. - racconta nel 2020 a 'Il Posticipo.it' - Io provengo da una famiglia umile: mio padre Eduardo era un operaio e lavorava in una fabbrica metallurgica, mia madre Beatriz faceva la casalinga. Non mi è mai mancato niente. Sono cresciuto insieme a un gruppo di ragazzi in cui io ero sempre il più piccolino: mi hanno aiutato a crescere e non mi hanno portato sulla brutta strada. All’epoca era tutto più sano di adesso".
Abel eccelle a scuola, dove consegue brillanti risultati, ma è il calcio ad intrigarlo.
"Andavo a scuola e giocavo a pallone nel campetto della chiesa con gli amici. - rivela - Un signore del paesino aveva fondato una squadra. Facevamo tornei la domenica: iniziavo a giocare al mattino e finivo la sera".
Balbo gioca da mezzala offensiva nell'Empalme Villa Constitución dai 6 ai 14 anni. L'allenatore è suo zio Nestor Rassiga. Pur giocando da centrocampista, segna tanti goal e su di lui mette gli occhi l'Independiente. Abel intanto non trascura gli studi, e si diploma al liceo della sua città.
Nel suo futuro c'è però il calcio, e sembra praticamente fatta per il passaggio a 'Los Diablos Rojos', con cui deve sostenere un provino. All'ultimo accade però un colpo di scena: sua sorella Claudia lavora nello studio legale dell'avvocato Nudemberg e parla con lui del fratello calciatore. Il caso vuole che il legale sia il vicepresidente del Newell's Old Boys e chiede ad Abel di fare prima il provino per loro.
Lo supera brillantemente ed entra a far parte delle Giovanili dei Leprosi, dove trova un maestro come Marcelo Bielsa. Balbo continua la sua crescita, confermando di possedere un gran fiuto per il goal, pur non avendo qualità tecniche eccelse. Vista la facilità con cui trova la rete, viene spostato nel ruolo di centravanti a 20 anni e nel 1987/88, un anno più tardi, ecco il passaggio in Prima squadra.
Balbo dimostra subito di che pasta è fatto e segna goal pesanti, 9 in 23 presenze, che contribuiscono a far vincere il titolo argentino al Newell's Old Boys.
"Sognavo di fare il calciatore da sempre. Il mio primo mito è stato Mario Kempes, - svela - poi Diego Armando Maradona, appena è apparso nel grande calcio. Loro due sono stati i miei due riferimenti più importanti".
Di Kempes imita anche il look, visto che ha i capelli lunghi, folti e riccioluti, esattamente come 'El Matador' ai Mondiali del 1978. Attaccante giovane e prolifico, Abel entra presto nel mirino del Verona, che ha alcuni osservatori in Argentina e ingaggia i suoi connazionali Pedro Troglio e Claudio Paul Caniggia.
DAL NO DEL VERONA ALL'UDINESE
Abel firma il contratto con gli scaligeri, si unisce al club italiano ma in ritiro ma è bocciato dal tecnico gialloblù Osvaldo Bagnoli, che lo ritiene ancora troppo acerbo per il campionato italiano e gli preferisce i due connazionali per completare il trio straniero (c'era anche il tedesco Berthold). La società del presidente Fernando Chiampan lo gira così in prestito al River Plate del 'Flaco' Menotti. Il centravanti dimostra le sue qualità realizzative e i goal in campionato salgono a 12 in 38 gare, anche se i Millonarios chiudono in 4ª posizione il torneo.
Le prestazioni di primo livello con il River fanno guadagnare a Balbo la maglia dell'Argentina e il Ct. Carlos Bilardo, dopo alcune amichevoli, a 23 anni lo convoca per la Copa America che si disputa in Brasile nel mese di luglio. Il caso vuole che a seguire il torneo ci sia anche il Direttore sportivo dell'Udinese, Marino Mariottini, che è lì per seguire un altro ragazzo dell'Argentina, ovvero Nestor Sensini. Il dirigente del club friulano però resta colpito anche da quel centravanti di un metro e 81 centimetri per 80 chilogrammi che Bilardo manda in campo nelle gare del girone finale con Uruguay e Paraguay, con sulle spalle un inedito numero 3.
Balbo non segna ma fa bene: l'Udinese, neopromossa in Serie A, parla con il Verona, proprietario del suo cartellino, e lo acquista. Udine è la città ideale dove crescere senza troppe pressioni, anche se adattarsi ad una nuova realtà non è facile.
"All’inizio è stato difficile. - ammette il centravanti - Da un lato ero molto felice perché ero arrivato al top: il campionato italiano era quello più prestigioso del mondo negli Anni ’90, ci arrivavano in pochissimi, ogni squadra non poteva avere più di tre stranieri. Giocare in Serie A in quel periodo era una conferma del mio valore: andare a giocare in Italia era il massimo a cui un calciatore poteva aspirare. Dall’altro lato però erano tempi diversi da oggi: non conoscevo niente dell’Italia, ero arrivato giovane in un campionato molto competitivo e non ero preparato al 100% per quel tipo di calcio. Ci giocavano i calciatori migliori del mondo e quindi ho avuto un po’ di difficoltà a inserirmi".
Abel però apprende velocemente, nel suo gioco concede poco all'estetica e bada prevalentemente all'essenzialità. La squadra, guidata da Bruno Mazzia prima e Rino Marchesi poi, lotta per la permanenza in Serie A. Per uno strano gioca a il suo esordio in campionato contro la Roma, gara in cui colpisce il palo con un bel colpo di testa. Il primo goal lo segna al Milan futuro campione d’Italia, a San Siro, finalizzando, dopo un uno-due con Mattei, un'irresistibile progressione palla al piede iniziata da centrocampo.
Quindi la doppietta all’Inter al Friuli, gara che Abel conduce dalla parte dei friulani con un 4-3 pirotecnico. Nel suo primo anno segna in tutto 11 goal in 28 presenze, senza calciare i rigori, ma il suo apporto non basta all’Udinese, che a fine anno retrocede comunque in Serie B. Sarà uno dei pochi momenti difficili della sua carriera, per sua stessa ammissione.
Ma anziché piangersi addosso, Abel si rimbocca le maniche e in Serie B lavora duro per migliorare e tornare presto in Serie A. Affina la sua tecnica individuale, e i risultati sono subito evidenti: 22 goal e titolo di capocannoniere del torneo cadetto in coabitazione con Ciccio Baiano e Walter Junior Casagrande nella sua seconda stagione, il 1990/91, 11 nel 1991/92, l'anno della promozione con 'Il Professor' Scoglio in panchina.
Nonostante un ginocchio malmesso che gli causa parecchi problemi, Balbo riesce comunque a incidere con alcune reti pesanti: a inizio marzo, dopo un digiuno di 2 mesi, torna al goal su calcio di rigore nella difficile sfida con la Casertana, pareggiata 2-2. La vittoria per 2-0 in trasferta contro l'Ancona, in contemporanea con la sconfitta a Lecce del Cosenza, determina il 14 giugno il ritorno nel massimo campionato dei friulani.
"Ho avuto la fortuna di andare in una città molto tranquilla come Udine: io e mia moglie siamo arrivati da soli, ci eravamo appena sposati, lei aveva appena 18 anni. Questa esperienza ci ha aiutato a crescere come persone e come famiglia. Ho vissuto un po' di tutto, anche un po' di paura: era difficile, non c’era il telefono a casa, ogni tanto potevi andare a chiamare da un telefono pubblico con una scheda. Eravamo in un mondo sconosciuto per noi".
In bianconero vive un'ultima esaltante stagione, la sua quarta in Friuli, che lo vede affermarsi come grande bomber in Serie A. Fa coppia in attacco con Marco Branca e le sue 'perle' stavolta sono ben 21, che gli valgono il 2° posto assieme a Roberto Baggio nella classifica marcatori della Serie A, dietro soltanto al capocannoniere Beppe Signori. Nasce il mito di 'El Killer', come viene ribattezzato: nella vita di tutti i giorni Abel è una persona buona e gentile, mentre in campo diventa uno spietato predatore, pronto a sfruttare tutte le occasioni che gli vengono concesse.
A quelli nella stagione regolare va aggiunto però un ulteriore fondamentale goal, quello realizzato nello spareggio salvezza contro il Brescia: l'Udinese si impone 3-1 sulle Rondinelle e conquista la permanenza nella massima serie.
"Io l’avevo promesso, volevo fare un grande partita e segnare, - dichiara a caldo dopo il fischio finale - sono tornato con l’Udinese in Serie A, e qui volevo che la squadra restasse, abbiamo regalato alla nostra tifoseria ciò che merita".
Per il centravanti argentino è il modo migliore per lasciare il club che lo ha lanciato nel calcio italiano, con cui ha segnato in tutto 70 goal in 144 presenze, tenendo conto di tutte le competizioni.
ZERO TITOLI CON L'ARGENTINA
Mentre la sua carriera in Italia spicca il volo, Balbo è già diventato un protagonista dell'Argentina. Con la maglia dell'Albiceleste disputerà 3 Mondiali, senza riuscire a coronare il sogno iridato. Il primo lo gioca già nel 1990, convocato ancora una volta da Carlos Bilardo. Va in campo nell'esordio sfortunato al Meazza contro il Camerun (sconfitta per 0-1 dei sudamericani) nell'avventura che si chiuderà con il 2° posto per la squadra di Maradona, sconfitta in finale dalla Germania Ovest per 1-0.
"Ho avuto la fortuna di giocare due Mondiali insieme a Diego, - sottolinea - all'inizio non pensavo che ci sarei riuscito. Ho anche segnato un goal su un suo assist nello spareggio Mondiale nel '93 in Australia nelle qualificazioni per Usa '94".
Il guizzo nella sfida di andata dello spareggio contro l'Australia a Melbourne è un goal molto pesante, e vale il pareggio per 1-1, che unito all'1-0 della partita di ritorno, arrivato su autogoal, consente alla squadra di Alfio Basile di accedere alla fase finale. I Mondiali statunitensi, i secondi nella carriera di Balbo, lo vedono impiegato nuovamente da mezzapunta offensiva in una squadra stellare che vede in campo contemporaneamente, oltre a lui, il suo idolo Maradona, Caniggia e Batistuta.
Dopo aver travolto la Grecia all'esordio e battuto la Nigeria, però, la squalifica per doping del 'Pibe de Oro' è una dura stoccata per l'Albiceleste, che nonostante una rosa di qualità, perde la terza partita contro la Bulgaria ed esce agli ottavi di finale, sconfitta 3-2 dalla Romania nonostante una rete di Balbo.
"Tutto quello che è successo con Diego - sosterrà a 'TNT Sports' - è stato un complotto. L'Argentina dava fastidio e non potevano permettere che diventasse campione del Mondo, soprattutto con Maradona come capitano, anche perché era l'ultimo anno della presidenza di Havelange. Era tutto molto strano, Diego con noi è sempre stato molto sincero e stava facendo le cose per bene. Ma lo hanno cercato e se lo sono venuti a prendere, hanno messo su un teatrino. È l'unica volta nella storia che un'infermiera va a cercare un giocatore dentro il campo per fargli l'antidoping. Ma poi il tempo ci ha dato ragione, nella FIFA c'era qualcosa di abbastanza losco".
"Dopo la positività all'antidoping abbiamo perso Diego, e nella partita successiva abbiamo perso anche Caniggia. Contro la Romania ci siamo mangiati milioni di goal, ma la squadra non era la stessa, il gruppo era diventato debole. Io ero convinto che saremmo diventati campioni del Mondo, quel Mondiale è la più grande delusione della mia carriera".
Balbo partecipa anche ad un terzo Mondiale, quello di Francia '98, in cui, con Passarella Ct., cede il posto da titolare ad Hernan Crespo e l'Argentina giunge fino ai quarti di finale, per poi soccombere 2-1 all'Olanda. Per il resto l'attaccante classe 1966 gioca anche la Copa America del 1995, la seconda dopo quella del 1989 che gli aveva permesso di approdare in Italia. Anche in questo caso, però, le soddisfazioni saranno poche, visto che l'Albiceleste è eliminata ai quarti di finale dal Brasile, vittorioso ai rigori.
Dopo la sfida del Velodrome di Marsiglia contro l'Olanda del 4 luglio 1998, a 32 anni 'El Killer' lascia la Nazionale, chiudendo con un bilancio di 11 goal in 37 presenze.
IL NO DELL'INTER E IL PASSAGGIO ALLA ROMA
Dopo l'exploit dei 21 goal segnati in Serie A con l'Udinese, Balbo finisce nel mirino di diverse big. L'Inter di Ernesto Pellegrini, che cerca un centravanti, sembra in vantaggio sulla concorrenza, ma qualcosa non va nel verso giusto.
"All'epoca andai a cena a casa di Pellegrini col il D.s. dell'Udinese Mariottini. - rivelerà il centravanti a 'Sky Sport' - Eravamo d'accordo su tutto, poi alla fine mi hanno fatto firmare un foglio e non ho passato l'esame calligrafico cui la signora Pellegrini sottoponeva tutti i nuovi acquisti. Si vede che la mia firma non era come quella di Pancev...".
Clamorosamente il passaggio in nerazzurro salta, la sua firma non piacce alla signora Ivana, e su Balbo piomba la Roma del nuovo patron Franco Sensi, che non se lo lascia sfuggire. All'Udinese vanno ben 18 miliardi di Lire.
"Non ho rimpianti, - afferma Balbo - volevo giocare in una grande squadra e sono stato contento di andare alla Roma".
Le 5 stagioni in giallorosso, del resto, vedono l'argentino esprimersi ad altissimi livelli. Firma subito 13 goal (miglior marcatore della Lupa) il primo anno, tirando fuori la squadra di Mazzone dai bassifondi della classifica e cogliendo un 7° posto finale. Il primo sigillo all'Olimpico è d'autore: il 5 settembre 1993, infatti, Balbo segna di testa, su punizione di Mihajlovic, un goal da opportunista puro sotto la Sud nella vittoria per 2-1 sulla Juventus.
"Quando sono arrivato la prima volta abbiamo lavorato per costruire qualcosa che potesse diventare bello in futuro. La Roma era in ricostruzione: Sensi ha preso in mano una società piena di debiti. Abbiamo lavorato insieme a Carlo Mazzone piano piano per portare la Roma a un livello più alto e stabile per lottare e provare a vincere lo Scudetto dieci anni dopo. È stato un momento bello e intenso. Abbiamo sofferto perché le cose non andavano sempre bene".
Va ancora meglio nelle stagioni successive: a partire dal 1995/96 nella capitale sbarca infatti anche l'uruguayano Daniele Fonseca, con cui l'argentino comporrà una delle coppie più letali della Serie A.
Balbo firma 22 goal nel 1994/95 (mentre 10 gli realizza l'ex attaccante del Napoli) ed entra definitivamente nel cuore dei tifosi giallorossi quando mette la sua firma nel derby di andata del 27 novembre 1994 contro la Lazio. C'è un lancio di Cappioli per Fonseca, che crossa a rientrare dalla destra: a centro area Abel ruba il tempo a Chamot, Negro e Winter e di testa trafigge Marchegiani per la prima delle tre reti con cui la Roma travolgerà i biancocelesti.
Nelle stagioni successive l'argentino mantiene una media realizzativa da grande bomber: fa 13 goal nel 1995/96, 17 nel 1996/97 e 14 nel 1997/98, cui bisogna sommare anche 2 centri in Coppa Italia e 6 in Coppa UEFA (competizione nella quale la squadra raggiunge i quarti di finale nel 1995/96), per un totale di 87 reti in 67 partite. Negli ultimi due anni segna anche due triplette all'Inter e al Napoli, quest'ultima è particolarmente significativa perché realizzata con la fascia da capitano sul braccio nel settembre del 1997.
Fra i suoi compagni di reparto c'è anche il giovane Francesco Totti.
"Francesco ha giocato la sua prima partita nel marzo '93, quando sono arrivato io entrava dalla panchina. Nel 1994 Fonseca si infortuna per un periodo lungo così Francesco diventa il mio partner d'attacco in campionato. L'ho aiutato un pochino nel periodo dell'inserimento: al ragazzo andava data una mano, anche se c'era da aiutare poco perché quando hai davanti un campione del genere quasi sempre è lui ad aiutarti".
Durante la sua prima permanenza nella capitale trova anche il tempo di convincere un suo piccolo fan, ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Bambin Gesù, ad accettare le cure dopo aver trascorso in sua compagnia un’intera mattinata.
Nelle ultime stagioni, comunque, i problemi non mancano. Con Carlos Bianchi prima, e Zdenek Zeman poi, le incomprensioni non mancano, anche perché sotto il profilo fisico Abel non può essere più quello di inizio carriera. Con il boemo diventa capitano, ma il 15 marzo 1998 si consuma poi la rottura definitiva tra i due. Quasi allo scadere del primo tempo della sfida interna contro il Bari, infatti, il tecnico, per rimediare all’espulsione del portiere Konsel, decide di sostituirlo.
Balbo fino a quel momento aveva fornito un assist e colpito un palo e una traversa, e non la prende bene: mentre esce dal campo insulta Zeman e gli dà del "laziale".
"Zeman aveva una metodologia di lavoro tutta sua, era molto pesante, però aveva ottenuto buoni risultati e allenarsi in quel modo andava bene. - dirà - Col tempo però si è scoperto che quel genere di lavoro fisico non era ottimale per tutti. Nel calcio di oggi i lavori sono molto individuali: correre per cinque ore al giorno per un centrocampista andava bene perché doveva scattare tante volte per 70-80 metri durante la partita. Per un attaccante però non era così: io facevo 200-300 metri e sprint da 5-15 metri a partita e forse non mi serviva correre così tanto, semmai lavorare di più sulla forza e sulla velocità. Era una cosa che non si sapeva all'epoca".
PARMA, FIORENTINA E IL RITORNO ALLA ROMA
Nell'estate 1998 Abel si trasferisce al Parma, dove, sotto la guida di Alberto Malesani, va a ricoprire, come era stato in Nazionale, il ruolo di 'vice Crespo'. Con la maglia gialloblù colleziona 12 reti in 44 partite fra campionato, Coppa Italia e Coppa UEFA (4 reti in ciascuna competizione) e vince i suoi primi trofei italiani, ovvero la Coppa Italia contro la Fiorentina e la Coppa UEFA battendo in finale l'Olympique Marsiglia.
"Quel Parma era uno squadrone: siamo arrivati col fiato corto alla fine, altrimenti avremmo potuto vincere lo Scudetto e fare il Triplete. - sostiene Balbo a 'Il Postiscipo.it' - Avevamo conquistato Coppa Italia e Coppa UEFA, in campionato siamo stati in testa fino a gennaio-febbraio, poi siamo calati fisicamente perché abbiamo giocato tutte le competizioni con molta intensità. È stata un'esperienza bellissima col mister Malesani, un allenatore e una persona straordinaria, davvero molto particolare, ci faceva morire dalle risate. C'erano grandi campioni attorno a me: un vero lusso".
L'anno successivo passa poi alla Fiorentina, dove, con Giovanni Trapattoni in panchina, è il vice Batistuta. Segna 7 reti, di cui 4 in Champions League con doppietta al Barcellona, in 31 gare totali, per poi tornare alla Roma, dove intanto è approdato Fabio Capello, e convincere a seguirlo proprio 'Il Re Leone'.
"Anche la Fiorentina era una bella squadra, e Trapattoni era un genio e il numero uno al mondo nella gestione del gruppo. Siamo stati eliminati alla seconda fase a gironi in Champions perché ci hanno rubato la partita contro il Valencia e abbiamo perso 2-0: ci hanno annullato un goal all'ultimo minuto che ci avrebbe permesso di passare il turno. A Parma e Firenze ero circondato da campioni. Con la Fiorentina siamo stati sfortunati perché saremmo potuti arrivare in finale di Champions: c'era la giusta motivazione in quella squadra".
Nel 2000/01 a 34 anni è ormai una riserva ma svolge il suo ruolo con la consueta professionalità e vede realizzarsi il suo sogno: vincere lo Scudetto. I giallorossi, trascinati da Totti ormai leader assoluto e dallo stesso Batistuta, conquistano il tricolore. Dopo il titolo, amante della musica e dei Beatles in particolare, si esibirà anche con la chitarra al Big Mama, locale cult della Capitale.
Balbo resta anche l'anno successivo, collezionando altre 15 presenze totali, senza realizzare altre reti. Ma vivendo la gioia più bella di laurearsi, appunto, campione d'Italia.
"Sapevo che sarei stato un comprimario, però ero felice di tornare a Roma perché avrei lottato per lo Scudetto. Ero consapevole che avrei trovato pochissimo spazio perché c'erano ragazzi molto forti: Batistuta, Montella, Totti. Ho scelto di tornare a casa perché io ho sempre abitato a Roma. Grazie a Dio abbiamo vinto. Ho fatto un gran lavoro dietro le quinte dando una mano nella gestione dello spogliatoio: sono stato utile in questo. È stata la ricompensa di tutto il lavoro sporco che avevamo fatto nelle stagioni precedenti. Mi è dispiaciuto che della Roma degli Anni '90 fossimo rimasti solo io e Aldair, altri giocatori come Giannini avrebbero meritato di esserci e gioire con noi".
Nel 2002 fa infine ritorno in Argentina per vestire anche la maglia dell'altra grande del suo Paese, il Boca Juniors. Decide quindi di ritirarsi all'età di 36 anni, chiudendo una lunga e prestigiosa carriera.
DA ALLENATORE A IMPRENDITORE AGRICOLO
Dopo il ritiro Balbo prende il patentino da allenatore. La sua prima esperienza in panchina è con il Treviso, di cui prende la guida tecnica a fine febbraio del 2009. La squadra veneta è ultima in classifica e l'ex centravanti non riesce a risollevarla. Decide così di dare le dimissioni dopo 4 giornate.
Va decisamente meglio nel 2011/12, quando rileva l’Arezzo in Serie D e lo trascina dall’ultimo al sesto posto in campionato, ma deve lasciare l'incarico per motivi personali. Ci torna l'estate successiva, tuttavia, i risultati negativi, portano il club ad esonerarlo dopo poche gare.
Sarà l'ultima esperienza da allenatore per l'ex bomber, che dal 2015 ha cambiato totalmente campo, diventando assieme a sua moglie un imprenditore agricolo.
"Da quando ho smesso di giocare ho fatto un po' di tutto, sia dentro che fuori dal calcio. - ha raccontato a 'Il Posticipo.it' - Ho allenato e ho venduto qualche giocatore. Poi mi sono dedicato alle mie cose personali: ho un'azienda agricola in Argentina, produciamo cereali, soia, mais. Io e mia moglie l'abbiamo comprata coi primi soldi all'inizio della mia carriera: veniamo entrambi da una zona agricola quindi l'idea è nata così".
Sposatosi giovanissimo con Lucilla prima del suo approdo in Italia, ha avuto da lei tre figli: Federico, che fa il pilota di aerei, Nicolas, di professione designer industriale, e Chiara, la più piccola, pattinatrice sul ghiaccio.
"Dedico molto tempo ai miei figli. - rivela - Negli ultimi anni sono stato quasi sempre negli Stati Uniti perché due di loro vivevano lì e ho approfittato di quel periodo per insegnare ai ragazzi nelle scuole calcio".
Dal febbraio 2020 'El Killer', colui che è stato uno dei bomber più spietati e regolari della Serie A negli anni Novanta, ha aperto a Boston una sua Scuola Calcio, la 'Balbo Soccer Academy', coronando il sogno di insegnare calcio ai ragazzi più giovani. Ma l'Italia, il Paese che lo ha adottato, resta sempre nel suo cuore.