
E' stato il braccio destro dell'ex presidente Andrea Agnelli sul ponte di comando, ma per capire cosa abbia rappresentato e rappresenti Pavel Nedved per la Juventus bisogna tornare indietro di 20 anni, quando il biondo di Cheb indossava ancora la maglia numero 11 bianconera e per i tifosi era solo la Furia Ceka.
Il 2002/03 è la seconda stagione di Nedved alla Juventus, dove è arrivato dalla Lazio nell'estate 2001 con l'arduo compito di sostituire Zinedine Zidane. I primi sei mesi a Torino sono un vero e proprio incubo: il ceco non riesce a trovare la giusta posizione in campo e piovono pesanti critiche, mentre i tifosi iniziano a interrogarsi sul reale valore del nuovo acquisto.
A risolvere il rebus sarà Marcello Lippi, che accentra Nedved dietro le punte concedendogli maggiore possibilità di svariare vicino all'area avversaria e cercare la conclusione da fuori. È la svolta. Nedved trascina la Juventus alla conquista dello storico Scudetto vinto il 5 maggio 2002 all'ultima giornata, quando i bianconeri sbancano Udine mentre l'Inter di Ronaldo il Fenomeno viene affondata proprio dalla Lazio all'Olimpico.
È solo l'antipasto di ciò che sarà nella stagione successiva: in campionato Nedved eguaglia il suo record di goal segnandone ben 9 in 29 presenze, ma la Furia Ceka si scatenerà soprattutto in Champions League dove sigla altre 5 reti ed è il grande protagonista della cavalcata bianconera fino alla finale di Manchester, ovvero quello che resterà il più grande rimpianto di tutta la sua carriera.

Dopo aver violato il Camp Nou nei quarti di finale, Nedved segna il goal del 3-0 nella semifinale di ritorno contro il Real Madrid dell'ex Zidane ma proprio nei minuti finali commette un evitabilissimo fallo a centrocampo su McManaman che gli costa il cartellino giallo e la conseguente squalifica per la finale.
Nonostante la qualificazione così Nedved a fine partita scoppia in lacrime sul prato del vecchio 'Delle Alpi' per il sogno appena sfumato. E senza di lui anche la Juventus si perderà nella notte di Manchester lasciando la Champions League al Milan, seppure solo ai calci di rigore.
"Poteva diventare il più grande successo, è stata la più grande delusione della mia carriera".
Il 'premio di consolazione' per Nedved arriverà però pochi mesi dopo, quando la giuria di France Football gli consegna il Pallone d'Oro davanti a Thierry Henry e Paolo Maldini, capitano di quel Milan che aveva alzato la Champions League al cielo di Manchester. Un riconoscimento meritato ma che lo stesso Nedved non si sarebbe aspettato.
"Non sono bello da vedere e mi manca una grande vittoria. Non posso competere con campioni come Raul, Figo e Zidane".
A pagare stavolta è stato il duro lavoro, principio che ha sempre guidato la carriera di Nedved. Un vero e proprio stakanovista del pallone e non solo.
"Per me esiste il calcio e la mia famiglia. Non ho bisogno di altro. A Roma vivevo fuori città, a Torino pure. Sono un cultore del lavoro, anche in vacanza cerco di organizzarmi in modo da poter mantenere la forma fisica che mi serve al momento in cui ritorno al lavoro".
A trentuno anni Nedved ha così toccato il picco più alto della sua carriera. Carriera che chiuderà con la maglia bianconera, indossata come una seconda pelle anche in Serie B. Una scelta che se possibile ha ulteriormente rinsaldato il rapporto tra la Furia Ceka e il popolo juventino
"Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco a essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus. Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre".