
Ci vuole una grande personalità per trovare ispirazione nel caos. Bisogna avere una propria idea, chiara. Magari tortuosa, con deviazioni sul percorso, ma comunque ferma e irriducibile. Da fuori può sembrare impossibile: come può qualcuno trovare quel che serve lì in mezzo? Eppure è così.
Meno spazio, maggiori capacità. Dusan Vlahovic lo sa bene. E' stato capace, sin dai suoi inizi - e le interviste nei primi anni, decisivi, da professionista lo dimostrano - di districarsi in un calcio serbo in cui emergere non è per nulla facile.
La pressione di giocare nel Derby Eterno, con la maglia del Partizan o con quella della Stella Rossa, schiaccerebbe chiunque. Un turbinio caotico in cui la testa gira, per il tifo, la spinta dei fans per le strade della Città Bianca, Belgrado, al Marakàna.
Sempre meno possibilità di sbagliare, sempre più di fare qualcosa di grande. Vlahovic ha sempre trovato ispirazione per il calcio, senza mai avere dubbi: voleva farcela, sapeva di poterlo fare.
Nella mente di un bambino, il caos. Di pensieri, di possibilità per il futuro. Vorrei quello. No anzi, l'altro. Non per Dusan. L'ispirazione l'ha sempre condotto verso un prodotto artistico di nome calcio. Chiamato Partizan. Tutto il resto, fosse basket, medicina o Stella Rossa, rappresentava solo quella tortuosità che non compromette l'opera finale.