La meteora Vadalà: dall'arrivo alla Juventus per Tevez alla seconda serie argentina
Chi ha vissuto dal vivo le gesta dell'eroe tormentato Diego Armando Maradona tra fine anni '80 e inizio '90, ha sobbalzato ogni volta che qualcuno ha usato quell'accostamento. Da quando El Pibe smise di deliziare gli spettatori e i tabloid, ciclicamente è iniziato il gioco dell'acchiapparella. Sembrava che ogni settimana nascesse 'il nuovo'. Il nuovo Maradona, l'erede di Maradona. E giù a dire che Diego è uno, o almeno ad aspettare. Aimar, Riquelme, Saviola, Ortega. E poi Leo Messi, che fino alla fine dei tempi farà discutere sul possibile paragone, di superamento o assestamento al suo livello.
Da quando Messi ha vinto il Mondiale con l'Argentina, completando l'en-plein dei trofei e trascinando una squadra che ha fatto lievitare cartellini e prezzi senza però mai sembrare l'Ungheria di Puskas o il Brasile di Pelé, i giovani capiscono meglio i fastidi legati all'accostare ogni singolo giocatore di talento all'argentino numero uno al mondo.
In un mondo in cui le informazioni sono continue, sovrascritte velocemente, l'etichetta di nuovo Messi non è iniziata certo dopo la fine dell'era calcistica, come accadde con Maradona, ma bensì già dopo i primi anni di carriera, quando la Pulce non aveva minimamente raggiunto i livelli di boss dello sport oramai fatti suoi.
Pensare ai nuovi Messi del passato strappa una risata e, ancora ciclicamente, la necessità di aspettare. Qualcun altro salirà sul trono, ma sarà una cosa naturale, senza essere spinti dalla voglia di un'erede.Hanno chiamato nuovo Messi il greco Ninis, la vecchia conoscenza romanista Iturbe, e poi in ordine sparso Bojan, Hassulin, Sayoud, Hosseini, Roberts, Marin. Nessun argentino.
Perché dopo Maradona, in patria, erano talmente contenti di avere trovato realmente Messi da non voler sfidare nuovamente la sorte iniziando una nuova campagna di ingigantimento per un altro candidato al trono. Certo, è comunque capitato in qualche occasione. Sì, è capitato con Guido Vadalà.