Napoli-Argentina: l'unica volta di Maradona da avversario degli azzurri al San Paolo

Maradona vs Napoli HD
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Una partita storica: la formazione di Bianchi contro quella di Bilardo che si laureerà Campione del Mondo, in un pomeriggio surreale.

“Come mai non eri a Roccaraso?”, chiede zio Alfredo a un Fabietto devastato dal lutto. “C’era il Napoli allo stadio, dovevo vedere Maradona”. Sembra aver visto un fantasma: anzi, no. Ha tutta l’aria di essere una vera e propria apparizione, quella che si è mostrata, in tutta la sua magnificenza, agli occhi persi nel vuoto dello zio Alfredo. “È stato lui, è stato lui che ti ha salvato. È stata la mano di Dio”.

Fabietto rimane perplesso, poi realizza. E nella sua epifania c’è tutto ciò che è stato Diego per Napoli: per la sua gente. Per Paolo Sorrentino, anche: vettore perfetto del sentimento popolare, in uno dei film che più, tra tutti, ha spezzato gli animi di una città follemente innamorata del suo Dio, con la Dieci sulle spalle.

Capace di riscrivere la storia millenaria di un popolo che ha visto in lui la salvezza: una catarsi spirituale da intraprendere ciecamente, e fedelmente, anche l’unica volta in cui Diego ha svestito gli abiti da profeta e ha indossato quelli da avversario. Il 29 marzo del 1986: il giorno in cui Maradona si è manifestato da Campione del Mondo, ancor prima di diventarlo davvero.

  1. DIO SI E' MOSTRATO...

    Il nome di Carlos Bilardo è sulla bocca di tutti, a pochi mesi dai Mondiali in Messico, nel 1986: la sua è una delle Nazionali argentine più criticate di sempre. Chiedevano la sua testa: in verità, il suo progetto, poi supportato dai fatti, aveva un senso. Lo ha sempre avuto: costruire una squadra “europea” attorno al Diez. In quegli anni già il più forte al mondo, ancor prima dei miracoli.

    Diego arriva a Napoli, e al Napoli, come un fatto straordinario, accompagnato dai sogni: un trasferimento fatto di promesse, anche quelle economiche rivolte al Barcellona che, il conguaglio, lo riceverà in un secondo momento. In verità sarebbe corretto dire che Maradona stesso è stato di per sé un fatto straordinario. Come può non esserlo, d’altronde, un uomo che poco ha delle fattezze di un umano, e tanto di quelle di un’entità divina, capace di riempire il San Paolo in ogni ordine di posto per un semplice saluto tra i palloncini azzurri, in un giorno d’inizio luglio del 1984? Lo è e basta.

    E non serve neanche il “risveglio” di una città che si è riscoperta amata, calcisticamente e non solo, nel periodo di maggior splendore dalla venuta di Diego: nell’anno, o meglio, nella stagione dei Mondiali vinti dall’Argentina di Leo, Lionel Messi. Un segno: la mano di Dio, anche in questo caso.

    O, più semplicemente il corso ineluttabile di un destino che a marzo, nel 1986, si è scontrato contro il volere degli argentini, che avrebbero volentieri siglato un patto col diavolo pur di vedere Bilardo lontano dalla Seleccion: “la criticata nazionale argentina”, come l’ha definita Maradona, ai Mondiali in Messico non solo c’è, ma parte con tutto il necessario per vincere. Ovvero, in sintesi, quella dose di scetticismo propria dei campioni: poi tutto il resto.

  2. ... E HA FATTO IL MIRACOLO

    Va, comunque, contestualizzato un fatto: il Napoli di Diego è in costante crescita, quando il campionato di Serie A 1985/86 affronta l’ultima sosta della sua stagione. Alla ventottesima giornata la Juventus pareggia contro la Sampdoria e la Roma batte il Pisa, agganciando i bianconeri in vetta. Gli azzurri, invece, sono saldamente terzi: e terzi rimarranno, centrando la qualificazione in Coppa UEFA. Lo Scudetto andrà a Michel Platini e compagni.

    Per la formazione allenata da Ottavio Bianchi è un buon passo in avanti, considerando l’ottavo posto della stagione precedente: quella dell’arrivo in Italia di Diego. In doppia cifra al primo anno (con quattordici goal), in doppia cifra al secondo (con undici). Nell’aria, però, c’è qualcosa: si percepisce.

    In Argentina si chiama “mistica”: un’esperienza spirituale superiore ai concetti canonici di “vita vissuta”. Qualcosa che trascende, che va oltre: una stagione più tardi, Napoli ha ufficialmente un nuovo Dio e professa una nuova religione. Ha riccioli neri, a volte porta anche la barba: sul petto ha uno Scudetto tricolore, su sfondo azzurro. Prima di arrivarci, però, dovrà presentarsi ignudo: con un’altra maglia. Sorprendentemente.

  3. 29 MARZO 1986: NAPOLI-ARGENTINA

    Sono due i fatti del giorno, il 29 marzo del 1986: anzi, tre. Il primo è che il campionato di Serie A è fermo: c’è tempo e modo per le Nazionali che saranno impegnate ai Mondiali in Messico di lavorare a pochi mesi dalla competizione più importante delle vite dei loro giocatori. Il secondo è che tra gli stadi aperti, in Italia, c’è il San Paolo di Napoli: il terzo è doppio, ma si può racchiudere in un solo tema. Gioca il Napoli, ma lo fa contro l’Argentina.

    A sua volta, quest’ultimo fatto, cela due argomenti che alimentano il dibattito: il primo riguarda Claudio Borghi, attaccante dell’Argentinos Juniors che incantò Platini che, a margine della finale di Coppa Intercontinentale di qualche mese prima (nel 1985), lo definì “il Picasso del calcio”, e che in Italia davano per fatto alla Sampdoria. Non ci andrà: anzi, poco più tardi passerà al Milan di Silvio Berlusconi per poco più di tre miliardi di lire, per essere poi girato in prestito al Como per la regola dei prestiti.

    Il secondo argomento, o spunto, a Napoli è più importante di ogni altra cosa: gioca Diego. Ma non con la maglia del Napoli, no: con quella dell’Argentina. Al San Paolo si presentano in quarantamila per un’amichevole, solo per guardarlo in azione: e fanno bene, assisteranno alla storia.

    Il pallone iniziale lo batte Bruno Giordano, che tocca per Daniel Bertoni. Bertoni è argentino: ha partecipato al leggendario trionfo della Seleccion di Luis Menotti, che in patria ha sollevato, nel ’78, la Coppa del Mondo, e lo fa siglando una delle tre reti che hanno deciso la finale del Monumental contro l’Olanda. C’è tanto, forse troppo in termini “mistici”, nel primo tocco della sua gara: un passaggio alla cieca di ritorno per Giordano Bruno che si trasforma in un simbolico testimone per Maradona, che riceve il primo pallone di quella sfida. 

    Non è un caso, di fronte ai suoi tifosi. Non è un caso, in quell’anno lì: in un periodo che aprirà la stagione del miracolo del Napoli, culminata con lo Scudetto del 1987. Dopo i Mondiali vinti in Messico, s’intende: segnano Pasculli (su assist di Diego) e Garré per l’Albiceleste. Per gli azzurri, invece, Pecci (che del Diez aveva la folta chioma, se può interessare, ma non certo il mancino). Finisce 1-2: ma figuriamoci, a chi importa?

    Diego si era rivelato, anche da avversario: con la maglia bianca dell’Argentina. Non è andato a segno, questo no: non avrebbe potuto farlo. Un Dio giusto non punisce: insegna, indica la via. Anche in un pomeriggio di fine marzo, con la Serie A ferma e lo stadio pieno, di fedeli.

  4. NAPOLI-ARGENTINA 1-2, TABELLINO E FORMAZIONI

    MARCATORI: Pasculli (A), Garré (A), Pecci (N)

    NAPOLI: Garella; Bruscolotti, Marino, Bagni, Ferrario, Renica, Bertoni, Pecci, Giordano, Barbas, Celestini. All. Bianchi

    ARGENTINA: Islas; Giusti, Garré, Burruchaga, Ruggeri, Passarella, Pasculli, Batista, Borghi, Maradona, Almiron. All. Bilardo