Padre, figlio e Khvicha Kvaratskhelia: la rivoluzione mandata da Maradona

Kvara Maradona HD
GOAL
Non abbiamo scelto noi di ricevere in dono Khvicha Kvaratskhelia, ma non ne possiamo più fare a meno.

È semplicemente apparso, Khvicha Kvaratskhelia. Un giorno non c’era, per noi: non c’è mai stato. Non ne eravamo a conoscenza a tal punto che le nostre giornate ne facevano tranquillamente a meno: il mare, al suo posto. Il Golfo, pure: il Vesuvio anche. Tutto, in Italia e nel mondo (le zone più note), si era abituato a fare a meno di Khvicha Kvaratskhelia. Poi è apparso e nessuno, e nulla, in Italia e altrove (anche le zone meno note), ha potuto fare a meno di lui.

La sua venuta nel nostro mondo come “fatto” tangibile, avvolto da un’aura, una di quelle glasse utilizzate più come guarnizione e puro espediente decorativo che come reale additivo di dolcezza, inspiegabile almeno quanto il “fatto” in sé di ritrovarsi di fronte un ragazzo di ventuno, ventidue anni, bello che cresciuto, saltato fuori da chissà quale universo parallelo di cui non abbiamo mai sentito parlare, ecco, insomma, la sua venuta nel nostro mondo non ha particolari motivazioni.

Una “svista”: di questo si parla nelle sale che ospitano i grandi banchetti, agli inferi. Una “svista” e insieme lo scherzo di un demone, fosse anch’esso considerato santo, che un giorno deve aver pensato alla maniera più curiosa, e spiazzante, per ribaltare la coscienza comune, spingendo fuori da un sistema precostituito tutto ciò che pensavamo, credevamo di sapere e conoscere. Siamo stati letteralmente sbalzati fuori dai nostri presupposti, impegnati e distratti, com’eravamo, a ragionare e sviluppare il calcio nei modi e con i modelli che ci son stati suggeriti.

Un elenco di tutto ciò che avevamo, prima che Khvicha Kvaratskhelia sconvolgesse le nostre vite: il colpo di coda di una pandemia tra le più drammatiche della storia dell’umanità; una lenta e faticosa ripresa delle attività sociali, in un paradigma nettamente differente rispetto al precedente; i dubbi volti ad alimentare il dibattito per un conflitto, tra Russia e Ucraina, che non solo nessuno aveva preteso, ma che abbiamo (e stiamo) subendo senza definizione. Calcisticamente: la crisi del nostro calcio, polverizzato dalle solite delusioni internazionali; l’ennesima Champions League del Real Madrid; il sentimento d’estrema riluttanza nel pensare, e ripensare, a un Mondiale a dicembre.

Poi, senza che glielo chiedessimo, Khvicha è apparso: e da allora nulla, nel nostro mondo, e in quello degli altri, è stato concretamente, e in maniera sconvolgente, più lo stesso.

  1. IL MESSAGGIO CRISTIANO DI KHVICHA

    “Telepatia… sai che significa telepatia? Eh, a me m’hanno spiegato: quando io non busso, e tu apri ‘a porta”.

    Nel viso spigoloso di Eudardo, nelle vesti di Luca Cupiello, si nota un segmento della chiave interpretativa della venuta di Kvara: in termini religiosi, una rivelazione “cristiana”, necessaria.

    Scriveva Benedetto Croce:

    “Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo”.

    Che un georgiano venuto dal nulla (abbracciando e immergendoci in una necessaria blasfemia che ben si sposa con il culto calcistico) abbia ricevuto direttamente da un ipotetico Iddio, il Supremo, l’Altissimo, il compito di redimerci dai nostri peccati e di mostrare la via verso la redenzione in formato sferico, e il relativo perché, resta e resterà un “mistero della fede”. Amen. Padre, Figlio e Khvicha Kvaratskhelia: della sua rivoluzione, però, segno tangente è l’orda di fedeli che, nella notte e nelle settimane che hanno preceduto l’ennesima Epifania, ha reso omaggio all’unico, grande Dio che quella porzione di Terra, martoriata dai pregiudizi e dalle crepe sociali, abbia mai conosciuto. Diego.

    Oh, Diego. Perché, Diego? Perché l’hai fatto? Perché non ci hai avvisato della venuta di Khvicha? Tutto questo ha, ovviamente, un motivo in controluce.

    Abuseremo di Søren Kierkegaard per descrivere la forza e l’efficacia del messaggio “cristiano” (pur slegato dalla religione, precisiamo) che Kvara ha semplicemente “trasmesso”, come un emissario. Un messia.

    “L’inizio fu: non c’era assolutamente nessun cristiano. Poi divennero tutti cristiani – e per questo motivo non ci fu di nuovo nessun cristiano. Questa è la fine; e ora siamo di nuovo all’inizio”.

    Prima non c'era nessun seguace di Kvara: poi son diventati tutti seguaci di Kvara. Era già accaduto con Diego: la storia si ripete.

    Una delle preoccupazioni principali, proprie di chi ha tirato le fila del dibattito calcistico napoletano, negli ultimi decenni è stata quella di tracciare nettamente il confine di “tutto ciò che non può essere né potrà mai essere Diego Armando Maradona”. Ma chi lo vuole, in fin dei conti, un altro Diego Armando Maradona? Chi l’ha mai voluto, diciamo noi?

    L’altra preoccupazione, tra le tante, è stata invece quella di definire le caratteristiche di “tutto ciò che a Diego può essere paragonato”, che ben si sposa con “tutto ciò che NOI vorremmo fosse Diego”. Lorenzo Insigne, “El Pocho” Lavezzi. Un mucchio di altri nomi. Il primo, però, non è un caso: di Lorenzo e della sua essenza fugace si son bagnati i tanti sogni dei tifosi che in lui hanno creduto, prima di un addio che, col senno del poi, è stato anch’esso “telepatico”.

    E “gratuito”: ecco qual era l’altro termine. “Gratuito”: il messaggio di Khvicha Kvaratskhelia è “gratuito”. Non ha mai voluto nulla in cambio. Adesso alcuni dei commenti scritti dai tifosi del Napoli all’annuncio di Aurelio De Laurentiis dell’ingaggio del georgiano:

    • “Chi?”;
    • “Chi è? Un codice fiscale più complesso di Szczęsny”;
    • “Ma a vulit furnì o no ca facit sul figur e m***”.

    Censuriamo. Ciclico è l’andirivieni degli idoli calcistici, fossero anche divini o divinizzati: prima di Maradona, dopo Maradona. Prima di Kvaratskhelia, dopo Kvaratskhelia. Kvaratskhelia dopo Maradona. “Telepatico”, è stato il gesto di Diego: non gli è stato chiesto nulla. Ha semplicemente aperto la porta a cui faceva riferimento, in “Casa Cupiello”, Eduardo: da questa è entrato Kvara. O, almeno, così ci hanno spiegato.

  2. IL REGALO DI DIEGO
    Getty

    IL REGALO DI DIEGO

    Che sarà di noi, quando il buio della sera avvolgerà i nostri sogni, oltre i muri dell’alta definizione in formato tascabile? Quando anche l’ultima fiammella, pressoché nulla, di speranza ha lasciato dietro sé la scia di fumo che solo un cerino acceso in segno di voto può donare, in tutta la sua gratuità? Che sarà dei ricordi, fossero anch’essi illusori, condivisi con l’unico cibo di cui ci è concesso fare indigestione, gli affetti? Spinti “oltre”, a forza di simboli e di promesse, persino la morte: rimandata. C’è chi, soprattutto quest’anno, ha siglato col diavolo il patto più amaro, anche in fin di vita: morire, quando il Napoli sta per vincere uno Scudetto, non è un’opzione. L’ultimo sogno, almeno questo, se ci è concesso: un ultimo appiglio. Non chiediamo altro. Un favore.

    Nel bianco della materia molle, un tempo occhi, che occupa le orbite di Diego Maradona, il 26 giugno 2018, si vede il riflesso del cielo di San Pietroburgo. Maradona viene sorretto da sudditi, una volta uomini: il sole, di “sbieco”, illumina il suo volto in estasi. Il resto viene bagnato dalla penombra. Dio se l’è ripreso in quel momento, due anni prima: al goal di Rojo che ha salvato l’Argentina dall’ennesimo disastro calcistico.

    “Ce lo ha mandato Diego”.

    In uno dei commenti più ricorrenti, in senso e modo, “postati” nella specifica sezione della prima intervista rilasciata da Khvicha Kvaratskhelia ai canali social ufficiali del Napoli, c’è uno spaccato importante di quel che è stato, e continua a essere, il modo di “pensare il calcio” dopo la venuta di Maradona. “L’ha mandato lui”. Che ben si sposa, tra l’altro, con una delle sezioni più forti del sorrentiniano “E’ stata la mano di Dio”: “È stato lui, è stato lui che ti ha salvato. È stata la mano di Dio”.

    L’idea che Diego, ci ripetiamo, abbia impacchettato un giocatore che fino a qualche mese prima giocava alla Dinamo Batumi, nel massimo campionato georgiano, e che lo abbia “spedirlo”, in formato tascabile, alla città che insieme all’Argentina lo ha amato oltre l’inverosimile, appare quantomeno rivedibile: dagli inferi (ammettendo l’esclusività di un ipotetico paradiso), e dai grandi banchetti di cui parlavamo prima, il suo nome deve essere uscito quasi per “distrazione”. Diego, con occhi spiritati, gli stessi di San Pietroburgo, indica l’angolo più oscuro dalla sala: una forma astratta, priva di contorni. “O Riavulo”: il diavolo. Un demone: il 77 della smorfia e insieme un numero entrato nella nostra quotidianità, privo di stranezza, ormai.

  3. KVARA SI E' FATTO NOSTRO
    Getty

    KVARA SI E' FATTO NOSTRO

    È un atto complesso, articolato, quello della benedizione: riprodotto in più forme nelle icone. Lungi da qualsiasi spunto d’iconoclastia (capirete, a breve): due dita rivolte al cielo, le altre tre unite. Tramite tra la sfera ultraterrena e la Trinità: intorno alla mezz’ora di Torino-Napoli, le telecamere rubano l’essenza di Khvicha. Non più uomo, ma messia.

    L’abbraccio coi compagni non nasconde il gesto del georgiano: sguardo rivolto al cielo, due dita alzate. La luce del pomeriggio dell’Olimpico di Torino lo separa, nettamente, dalle altre figure: è una benedizione. In senso religioso e iconico.

    In quel momento, ma solo in quel preciso istante, Kvaratskhelia si è tradito: ha tradito se stesso e i suoi seguaci. Ha richiamato chi lo ha inviato a diffondere il Verbo, facendosi carne e ossa, scarpini e pantaloncini. Vena: “di fuori”. Per poi sacrificarsi, davanti al suo popolo, alla prova più grande: il rigore sbagliato col Milan, in Champions League, davanti ai suoi fedeli, racchiusi in una deludente (ahi loro, ahi tutti) preghiera.

    “Perché? Perché mi hai abbandonato?”.

    Si è fatto nostro: è diventato “nostro”. Definendosi come individualità, tra la folla, si è separato in quanto “Io” che fa parte di un “Noi”: un’entità diversa dagli altri, e insieme agli altri “Nostridad”, “Nostrità”, qualcosa che ci appartiene e che, secondo Ortega y Gasset, appartiene al normale vivere dell’essere umano, divenuto tale solo ed esclusivamente al momento della sua venuta al mondo in quanto, appunto “Nostridad”. Qualcosa che fa parte di un “Noi”.

    Uscendo fuori dall’anonimato, Kvara ha compiuto due miracoli: mai, come oggi, siamo stati così fragilicdi fronte all'esistenza dell'ignoto. Il secondo è concreto: uno Scudetto, a Napoli, è una questione ultraterrena. Ha ricondizionato il pensiero comune: un altro come Maradona può esistere.

    Si è rivelato, in un bagliore che è proprio del suo nome: “Khvicha”, in georgiano, “luminoso”, “brillante”. Il fascio di luce riflesso dagli occhi, bianchissimi, di Diego. Sua Parola, suo Verbo: suo regalo. E nulla è stato più lo stesso.